venerdì 24 gennaio 2014

I Robot di La Marmora: piccola recensione

Dopo Punto Nemo di Domenico Attianese, recensiamo oggi un altro racconto di un autore autoprodotto, I Robotdi La Marmora di Alessandro Girola, storia appartenente al progetto narrativo Risorgimento di Tenebra.
La storia è ambientata in un 1800 alternativo nel quale l’umanità è entrata in contatto con gli alieni. I Nekton, precipitati sulla Terra nel 1864, si sono divisi in due fazioni: quella del Gene Sovrano alleata degli Asburgo, mentre la fazione (minoritaria) della Meccanica Evolutiva decise di sostenere il neonato Regno d’Italia.

Premetto subito che io, essendo delle Vecchie Province, tifo automaticamente per gli Asburgo, mentre i protagonisti del racconto sono degli eroi di guerra italiani. Vi dò però la mia parola che questo non ha influenzato la recensione. Sul serio.
Protagonisti del racconto sono, come dicevo, degli eroi italiani, piloti di Giganti da combattimento, costruiti usando le avanzate conoscenze Nekton, e impegnati contro gli orrori genetici messi in campo dagli austriaci (mi domando come mai ogni minimo risultato di ingegneria genetica viene sempre additato come un orrore, soprattutto se a farlo sono i nemici, ma non è questo il luogo di discussione).

Non aggiungo altro sulla trama (se vi interessa, leggetevelo), dico solo che c’è un’emozionante battaglia a bordo di una balena-dirigibile, vari misteri irrisolti e tanta azione. I personaggi non brillano per profondità, ma nello spazio breve del racconto si è preferito dare spazio all'azione.

L’autore dichiara subito qual è l’immaginario dal quale ha preso ispirazione: i cartoni animati di robotoni giganti, il film Pacific Rim e il Ciclo dell’Invasione del Turtledove. Pare dimenticarsi di citare Leviathan di Scott Westerfeld nel quale senza paura è andato a cacciare e riportare indietro la balena volante e le fazioni in gioco (biologia vs meccanica). Ma non gliene faccio una colpa, lo steampunk vive di questi “prestiti”.

È una colpa molto più grave aver messo gli Asburgo come cattivi… ma questo non influenza la recensione, ovvio.

Mi sono trovato un po’ male con la descrizione dei robot. Dovrebbero rubare la scena a… tutto il resto, eppure sono poco descritti e non ci si riesce a fare un’idea della loro estetica. Sono automi ottocenteschi con rivetti, molle e ingranaggi? Sono robotoni cromati in pieno stile dieselpunk? Sono costrutti ipertecnologici alieni? Sono tutte queste cose assieme? E dove finisce una cosa e comincia l’altra? Penso che se qualcuno mette assieme, sia ingegneristicamente che letterariamente, due culture (e quindi due stili, estetiche, tecnologie) aliene tra di loro, allora la cosa si deve vedere nel racconto, si devono vedere i punti di sutura tra le diverse tecnologie. Per come vengono descritti, i robot del Girola potrebbero trovare posto in qualsiasi epoca, e per tanto risultano abbastanza anonimi.

Purtroppo.



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