domenica 16 luglio 2023

Empire of Silence di Christopher Ruocchio.


Mi sono avvicinato alla lettura di questo tomo da 624 pagine per via dei numerosi suggerimenti che ho trovati sparsi sui social. Chi me lo consigliava diceva che prende forte ispirazione da Dune e Gene Wolfe, e quindi non me lo potevo lasciar fuggire.

L’autore è Christopher Ruocchio, che ha pubblicato questo suo primo romanzo nel 2018, il primo della serie nota come “Sun Eater”, che è già arrivata al quinto volume e che dovrebbe finire col settimo. Non mi risulta che sia stato tradotto in italiano.

La sinossi:

It was not his war.

The galaxy remembers him as a hero: the man who burned every last alien Cielcin from the sky. They remember him as a monster: the devil who destroyed a sun, casually annihilating four billion human lives—even the Emperor himself—against Imperial orders.

But Hadrian was not a hero. He was not a monster. He was not even a soldier.

On the wrong planet, at the right time, for the best reasons, Hadrian Marlowe starts down a path that can only end in fire. He flees his father and a future as a torturer only to be left stranded on a strange, backwater world.

Forced to fight as a gladiator and navigate the intrigues of a foreign planetary court, Hadrian must fight a war he did not start, for an Empire he does not love, against an enemy he will never understand.

Il libro viene presentato come le memorie di Hadrian Marlowe, scritte da lui stesso dopo essere entrato nella storia come condottiero genocida e sanguinario. Hadrian nasce da una potente famiglia di nobili di un sistema solare appartenente all’Impero Sollan. La narrazione in prima persona sotto forma di ricordi rimanda direttamente a Gene Wolfe e a Marguerite Yourcenar; Hadrian inizia dalla sua nascita nelle vasche di decantazione della famiglia Marlowe e alla sua educazione, assieme al fratello più giovane, con lo scholiasta di corte. Il padre governa con pugno di ferro il suo feudo, opprimendo i minatori di uranio; Hadrian non è della stessa pasta del padre e presto il conflitto di personalità spinge il protagonista ad andarsene dal Castello di famiglia a esplorare l’universo.

Fugge dal padre comprando un passaggio su un’astronave. Deve passare 10 anni in ibernamento per arrivare su Teukros dove potrà iniziare i suoi studi da scoliasta (scienziato e filosofo). Purtroppo qualcosa va storto e Hadrian di risveglia su un pianeta mai sentito nominare, Emesh, senza denaro. Inizia una nuova vita, prima come ladro e poi come gladiatore, con il sogno di mettere da parte abbastanza denaro da andarsene da lì. Le sue origini nobili vengono scoperte dal signore che governa il pianeta, e Hadrian entra in una serie di giochi politici e dinastici, durante i quali conosce Valka, una xenologa, che lo introduce ai misteri del Silenzio, una misteriosa specie aliena che ha colonizzato la galassia prima dell’umanità – idea considerata eretica dalla Religione Imperiale. Emesh viene attaccato dagli alieni Cielcin, e a questo punto Hadrian dovrà usare tutte le sue doti di guerriero, diplomatico e archeologo per salvare capra e cavoli: fermare la battaglia e riuscire a lasciare il pianeta.

Empire of Silence è incredibilmente derivativo. L’autore ha preso pesantemente dall’immaginario di Dune, Guerre Stellari, Book of the New Sun e Warhammer 40k. Ha preso senza vergogna, senza nascondersi: il suo scopo non è demolire certi cliché della narrativa di fantascienza (l’Impero Galattico, l’Eroe Predestinato, etc…) ma vedere come usarli per raccontare una buona storia. E allora ci sono scudi personali che obbligano a combattere all’arma bianca, gilde spaziali, Inquisitori che danno la caccia a macchine eretiche, e così via.

E sapete cosa? Funziona. La lettura è piacevole, la storia avvince, si partecipa volentieri al gioco di rimandi (ho apprezzato di più quelli sottili a Gene Wolfe); la qualità è superiore, per esempio, a tanti romanzi tie-in di Star Wars o ai prequel di Dune scritti da K.J.Anderson. C’è un amore ed empatia per le specie e le culture incontrate da Hadrian che non ho mai riscontrato in altre opere più famose. Pur essendo incredibilmente classico rispetta tutti i canoni moderni di rispetto per gli orientamenti sessuali e di genere, e riesce a imbastire una critica al sistema feudale come neanche Herbert in Dune (lo so, lo so, ora i fan di Dune mi salteranno al collo: beh leggetevi prima Empire of Silence). Se Warhammer 40k è “Allearsi coi nazisti per sconfiggere Cthulhu”, Sun Eater è “e se Anakin avesse fatto bene a diventare Darth Vader”? E qua sta il dramma di Hadrian, un personaggio che per sua indole vorrebbe tanto esplorare l’universo (si sarebbe trovato a suo agio in Star Trek) ma che si trova invece in un Impero oppressivo a combattere un nemico alieno inarrestabile.

mercoledì 12 luglio 2023

Il museo della Società Ginnastica Triestina

La Società Ginnastica Triestina è un’istituzione locale la cui fondazione risale al 1863, e, cosa insolita, ha mantenuto nel corso dei secoli sempre la stessa sede, uno stabile in centro a Trieste in via della Ginnastica. Quindi sì, noi triestini andiamo a fare pallacanestro, danza e scherma nelle stesse sale e palestre da 160 anni e credetemi è qualcosa di speciale.

La SGT ha all’interno un museo con alcuni cimeli storici relativi alla storia dell’istituzione. E non stiamo parlando di velocipedi o bizzarri strumenti callistenici, ma di documenti che riflettono la storia della città, dal punto di vista particolare di una importante istituzione sportiva. In senno alla SGT ai tempi della Trieste austriaca c’erano gruppi irredentisti più o meno attivi e “accesi”; le attività della SGT venivano spesso osteggiate dalle autorità imperiali che vi vedevano un possibile covo di terroristi.

In epoca di dominio italiano il moto della Società venne coniato da D’Annunzio stesso: Stricto Gladio Tenacius (con le stesse iniziali della SGT).

Il museo è aperto per visite guidate da Zeno Saracino, buon conoscitore della storia di Trieste e narratore di numerosi aneddoti sul passato della SGT.




Il prato, storia di un'ossessione americana

Pensavo fosse una sciocchezza, invece questo The Lawn di Virginia Scott Jenkins, è stato illuminante. Il prato, il classico prato verde tagliato all’inglese posto di fronte alle classiche casette americane, è stato già a partire dall’800 un vero e proprio campo di battaglia, un terreno fertile (in senso letterale e metaforico) dove installare l’idea capitalista dell’Uomo (bianco ed eteronormativo) che lotta e vince contro la natura, sottomettendola alla sua volontà.

Let a man drink or default, cheat on his taxes or cheat on his wife, and the community will find forgiveness in its heart. But let him fail to keep his front lawn mowed, and to be seen doing it, and
those hearts will turn to stone. For the American front lawn is a holy place, constantly worshiped but never used. Only its high priest, the American husband, may set foot on it, and then only to perform the sacred rites: mowing with a mower, edging with an edger, sprinkling with a hose, and rooting with a rooter to purify the temple of profane weeds.

William Zinsser, “Electronic Coup de Grass: The Mowing Ethic,” Life Aug. 22, 1969: 10.