giovedì 29 settembre 2016

Intervista ad Antonio Serra

Qualche anno fa ho avuto il piacere di intervistare Antonio Serra riguardo Greystorm, il fumetto steampunk da lui creato e che è uscito in 12 numeri tra il 2009 e il 2010. L’intervista era apparsa originariamente sulla rivista Doctor Fantastique's Show of Wonders, sia nell’edizione online che in quella cartacea. La rivista ha avuto poi un periodo di crisi e sebbene sia ritornata online, l’intervista originale non è più disponibile. La ripubblico volentieri sul mio blog, aggiungendo per l’occasione una domanda riguardante la morte di Nathan Never.
Il protagonista dell’omonima testa Bonelli, infatti, è morto nel numero 303 della serie, assieme a praticamente tutto il resto del suo mondo. Ma la serie non è finita, e continua raccontandoci le avventure del Nathan Never di un universo parallelo.
Da grande appassionato della serie, la cosa mi ha alquanto scombussolato.

Vuole parlarci di lei e del suo lavoro?

È una lunga storia, che riassumerò brevemente. Sono nato nel 1963, sono sempre stato un grande appassionato di fumetti, di avventura, di fantascienza. Del 1986 lavoro per Sergio Bonelli Editore, che mi ha dato la possibilità di concretizzare i miei desideri e le mie idee. Con lui ho potuto presentare al pubblico Nathan Never, un poliziotto del futuro creato con i miei amici Michele Medda e Bepi Vigna, e altri personaggi di mia invenzione come Gregory Hunter e Greystorm.

Ci introduce Greystorm?

È una miniserie ambientata a cavallo tra la fine dell’ottocento e i primi anni del novecento. Racconta di uno scienziato che, attraverso la scoperta di una sorta di virus, cerca di trovare il modo di controllare l’umanità secondo i suoi voleri.

A chi si è ispirato per il personaggio?

Certamente a classici modelli di avventura come il Capitano Nemo o Robur il conquistatore, personaggi creati da Jules Verne proprio negli anni in cui è ambientata la miniserie.

Perché ha scelto il genere steampunk? E perché ambientare la serie nel passato?

Le scoperte e le invenzioni di Greystorm non alterano la realtà storica così come noi la conosciamo, quindi io non definirei la storia esattamente steampunk, ma è chiaro che il parallelismo è inevitabile e forse anche giusto. La scelta di ambientare questa avventura nel passato nasce da molti fattori, tra cui la mia passione personale per Verne e il fatto che il pubblico di Sergio Bonelli Editore apprezza quel periodo storico, in cui si muovono alcuni dei personaggi più amati della Casa Editrice, Tex, il ranger, e Zagor, personaggio avventuroso che vive le sue storie nella immaginaria foresta di Darkwood.

Quali sono state le vostre fonti di ispirazione, sia dal punto di vista estetico che narrativo?

Narrativamente tutta le letteratura dell’epoca, da Verne a Poe a Conan Doyle. Graficamente, i nostri riferimenti principali sono state le illustrazioni dei volumi di questi stessi autori (e in particolar modo quelle dei romanzi di Verne) che ci hanno suggerito oggetti, ambientazioni e il segno “tratteggiato” che ha caratterizzato la miniserie.

Legs Weaver fu il primo fumetto Bonelli con protagonista una donna; Greystorm è stato il primo fumetto Bonelli con un protagonista cattivo. È stato difficile introdurre queste novità?

Sì e no. Sergio Bonelli era un vero appassionato di fumetti e di avventura, e basava le sue scelte più sulla forza dei personaggi che su strutture “formali” del racconto. Legs e Greystorm lo avevano incuriosito e colpito, e ne vedeva le potenzialità., anche se, magari, i suoi gusti personali andavano in direzioni diverse.

Successivamente a Legs Weaver, lei crea Gregory Hunter, ispirato a estetica e storie della fantascienza degli anni ’50, un genere che al giorno d’oggi sta tornando di moda (si veda per esempio l’Ignition City di Warren Ellis) e a cui vengono dati molti nomi: atompunk, spacepunk, retro-futurismo etc…
Da dove nasce questo suo interesse per il retro-futurismo?

Beh, ahimé, ai miei tempi non era per nulla “retro”... quindi la mia passione nasce da un’idea di futuro ottimistica e dinamica che, purtroppo, il mondo ha perso per sempre. Ormai, appunto, quel futuro è diventato un “passato” che però, almeno nel caso di Gregory Hunter, ha dimostrato di interessare solo un pubblico molto ristretto.

È stato difficile pubblicare in Italia un fumetto Steampunk?

No. Una volta che l’editore era d’accordo, più che altro è stato difficile mettere insieme una documentazione organica che facesse vivere ai lettori un mondo omogeneo e credibile. Ci sono voluti anni di lavoro, ma sia io che tutti i miei collaboratori siamo abbastanza soddisfatti del risultato.

Come mai è stata scelta un'ambientazione anglosassone invece di sfruttare, per esempio, l'800 italiano?

Ragioni varie, che vanno anche qui dalla mia passione personale per l’ambientazione anglosassone al fatto che, storicamente, la scelta di collocare le storie nel nostro Paese non ha mai funzionato benissimo dal punto di vista commerciale, anche se una serie bella e curata come Volto Nascosto ha dimostrato il contrario.

Assieme a Michele Medda e Bepi Vigna avevate creato nel 1991 il fumetto di fantascienza Nathan Never, ambientato in un lontano futuro. Greystorm invece è ambientato nel passato, e nel primo albo della serie vediamo come il protagonista si immagina il futuro: auto volanti, colonie sulla Luna e così via... che sono però elementi comuni e pane quotidiano in Nathan Never. Lei come interpreta questo passaggio dal futuro vissuto a quello solamente immaginato? È un passo avanti o un passo indietro?

Come gia detto, un passo indietro. I lettori di oggi non hanno più nessuna speranza o aspettativa nel futuro. Il futuro della nostra società è ormai perduto, e questa è una grande tristezza oltre che un grave problema sociale.

L'origine del contagio e della voce che Greystorm sente non vengono spiegati completamente, a mio avviso lasciando molti interrogativi. Il finale stesso della serie è molto aperto. Perché? Il ciclo può ritenersi chiuso?

Personalmente penso che le spiegazioni siano state anche eccessive. Ma ormai, passati anni dalla pubblicazione della miniserie (ora ristampata in tre corposi volumi editi sempre da Sergio Bonelli Editore) mi è stato chiesto di proporre al pubblico una nuova storia. Con la collaborazione di Gianmauro Cozzi (che, con me, ha creato il personaggio) e di Davide Rigamonti, uno sceneggiatore dalle doti indiscusse, ci siamo messi al lavoro e per Ottobre vedrà la luce, in tutte le edicole, un nuovo albo intitolato "Ex Vitro Vita". I disegni saranno della bravissima Lucia Arduini, e la storia si inserirà nel solco dei "capitoli dimenticati" che hanno caratterizzato l'ultimo numero della serie.

Per metà della serie un elemento cardine è l'amicizia tra Greystorm e Howard. Sono due personaggi opposti sia come carattere che come aspirazioni. Su cosa è basata la loro amicizia?

Proprio su questa differenza. Ognuno vede nell’altro quello che, per certi versi, vorrebbe essere. In particolar modo è Jason Howard a “invidiare” la forza e l’inventiva di Robert Greystorm, che, dato il suo carattere, vede nell’”amico” (e uso le virgolette) più una fonte di denaro con cui finanziare le sue scoperte che altro.

È prevista un'edizione per il mercato anglosassone?

Allo stato attuale delle cose no. Ma è chiaro che se un editore straniero di dimostrerà interessato al prodotto, la nostra Casa Editrice è ben disposta a qualsiasi sviluppo in questa direzione.

A quali altri progetti sta lavorando al momento? Pensa di ritornare allo Steampunk in futuro?

Come ho detto, un nuovo volume di Greystorm è alle porte. Per il resto sto lavorando a nuovi progetti (fantascientifici, sentimentali, realistici) che sono ancora in via di definizione, tutti in collaborazione con altri colleghi e amici quali il già citato Davide Rigamonti, Alberto Ostini, Anna Lazzarini e Maurizio Rosenzweig... vedremo che cosa ci riserverà il futuro...

Il primo concept di Greystorm è stato molto diverso dal risultato finale?

Molto. Siamo passati da una giovane donna pilota nella seconda guerra mondiale e uno scienziato folle alle soglie del novecento. Ma si tratta di normale dialettica interna alla Casa Editrice. Ognuno mette sul piatto le proprie preferenze e aspirazioni, e man mano il progetto si focalizza e prende vita.

Lei ha coniato la cosiddetta Legge di Serra "se pensi di aver avuto una idea originale un altro l'avrà avuta prima di te. E se l'idea ti appare geniale ci saranno certamente altri dieci ad averla avuta prima di te!”. Al giorno d’oggi, è più facile o più difficile avere un’idea originale rispetto a, diciamo, 20 anni fa?

Come dice la legge di Serra, non è tecnicamente possibile avere idee originali, né ieri né oggi. Tutto sta nella passione di chi scrive e disegna. Se ci sarà questa passione, il prodotto finito avrà una sua personalità che potrà colpire il pubblico. Altrimenti avremo solo un ennesimo fumetto (o libro, o film,o serie TV) che ripercorre inevitabilmente le stesse strade di altri prodotti precedenti.

Aggiungo a distanza di qualche anno una domanda su Nathan Never. Negli ultimi albi pubblicati (301, 302 e 303) abbiamo assistito non solo alla morte del protagonista, ma di fatto alla distruzione totale dell’universo narrativo, usando però la “scappatoia” degli universi paralleli per permettere alla serie di continuare. Da grande appassionato della serie è stato un po’ uno shock. Come è stato invece per lei, come creatore della serie, dare una fine a tutto?

Prima di tutto la parola "scappatoia" proprio non mi convince. Il multiverso è stato, almeno nelle avventure scritte da me, un contenuto sempre presente sulle pagine di Nathan Never, e la storia pubblicata nei tre albi citati ha una valenza celebrativa e simbolica data l'occasione dei 25 anni di presenza in edicola di Nathan Never. Come ho scritto, questa idea era presente fin dagli inizi, e quindi, al massimo, è una scelta (contestabile, se vuoi) ma non una scappatoia. Lo sarebbe se i concetti espressi nella storia venissero fuori dal nulla, invece sono stati introdotti e coltivati all'interno della serie fin dall'inizio e hanno fatto parte di saghe importanti come quella contenuta nei primi tre giganti.

Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, essendo impegnato in molti nuovi progetti e nel lavoro di editor di molte testate della Casa editrice, ho sentito in effetti il bisogno di "salutare" Nathan Never con una storia conclusiva. Anche qui, come ho già detto e scritto, non la vedo come un finale, ma come un nuovo inizio per coloro che verranno dopo di me. Ancora, scriverei la parola "morte" tra virgolette. I personaggi dei fumetti, ricordiamolo, non sono vivi e quindi non possono morire. Sono immortali per definizione, e esistono, soprattutto, nei nostri cuori, nei nostri ricordi e nelle nostre emozioni. Tu dici di essere rimasto colpito dalla storia... bene, è proprio quello che speravo. Che tu avessi un ricordo emozionante del personaggio, che ti accompagnerà anche quando leggerai gli albi futuri, fino alla prossima nuova emozione. Speriamo sia già nel prossimo numero!


E grazie a tutti voi!