venerdì 22 settembre 2023

Bestiario del Capitalocene


È uscito per Delos Digital li mio Bestiario del Capitalocene, nella collana Non-aligned Objects curata da Battisti.

Il termine Antropocene per indicare la nostra epoca, intendendo con esso l’effetto dell’uomo sulla natura, è entrato di uso comune. Ma la mia impressione è che il termine distoglie l’attenzione dal vero colpevole di questi cambiamenti, ovvero il Capitale con il suo sfruttamento delle risorse (umane e non) e la sua indifferenza per le conseguenze sul mondo. Perché non è vero che è l’Uomo al centro di tutto, perché se lo fosse veramente non staremmo distruggendo i nostri sistemi ecologici e sociali. Al centro del mondo d’oggi, motore primo di ogni problema, è il capitalismo. L’epoca nella quale viviamo quindi è quella del Capitalocene.

Sono circa 20 anni che giro per il mondo a occuparmi di ambiente e dell'impatto che l'inquinamento umano ha sugli ecosistemi. Anni di appunti, note, osservazioni su quello che gli esseri umani stanno facendo al nostro pianeta.

La cosa che mi ha sempre colpito di più in questo processo dove l'attività umana si sovrappone a quella "naturale", è la nascita di strane creature, ibridi tecnonaturali coscientemente ingegnerizzati dalla nostra mente oppure nati dall'incrocio casuale dell'umano con il naturale.

E uso il termine naturale con una certa cautela. Il Carso circonda la mia città natale, Trieste, e i suoi boschi di pini neri sono luoghi di escursioni e contatto con la natura. Peccato che siano costrutti artificiali, piantati nel 1800 per trasformare una landa pietrosa in una riserva di legna per le navi dell'Impero Austro–Ungarico. Anche il luogo più selvaggio che circonda la città è un prodotto della mano dell'uomo.

Trovandomi con una mole di appunti, ho cercato conferma delle mie osservazioni in letteratura. Quasi per ogni voce del Bestiario è presente una breve bibliografia con testi che vi permetteranno di approfondire l'argomento trattato, e riferimenti ad altre voci, in quanto molte di queste creature, e le cause della loro genesi, sono associate tra di loro.

A questo punto mi sono chiesto: come ci si crea una mappa mentale del mondo? Un mappa che non sia solo geografica e topologica, ma che includa informazioni di carattere scientifico, naturale, ideologico, culturale, storico, economico e politico?

Nel medioevo si usavano bestiari, dove il regno animale veniva rappresentato da un’immagine, un nome, una breve descrizione e la lezione morale che quel animale rappresentava. I bestiari, che si accompagnavano a erbari e lapidari, includevano creature esistenti e immaginarie, erano basati sulla tradizione greco–romana (principalmente l’anonimo autore de Il Fisiologo e la Naturalis Historia di Plinio il Vecchio) e non erano basati sull’osservazione e conoscenza diretta delle voci inserite.

Nel Rinascimento, con il cambio di mentalità in Europa Occidentale, si assiste alla nascita delle prime Kunst– e Wunderkammer, raccolte di oggetti notevoli (per valore, rarità o curiosità) appartenenti a vari regni, animale, minerale o artistico. Le Wunderkammer avevano i loro modi di classificare gli oggetti in mostra.

La Galleria delle Metamorfosi di Vincenzo I Gonzaga, per esempio, è divisa in quattro stanze corrispondenti a ciascun elemento classico: acqua, fuoco, terra e aria.

Altre classificazioni dividevano gli oggetti in Artificialia, creati dalla mano dell’uomo; Naturalia, creati da Dio e comprendente anche pietre, animali impagliati, disegni di piante; Mirabilia, mostruosità, mutazioni, anormalità, insolite o sorprendenti; Scientifica, ovvero strumenti usati per gli esperimenti e le misure fisiche e matematiche; Vanitas, oggetti che ricordavano ai visitatori la loro mortalità e l’importanza di seguire la religione cristiana; Exotica, se originava da fuori dell’Europa.

Le distinzioni spesso non erano nette. E così, ad esempio, una coppa ricavata da una noce di cocco intagliata e montata in oro riesce a essere allo stesso tempo Terra (la pianta di cocco) e Fuoco (l’orefice che ha fuso l’oro), Naturalia, Exotica e Artificialia.

Nei secoli successivi le Wunderkammer divennero Musei, i bestiari vennero sostituiti dai Manuali, fino ad arrivare alle moderne Wikipedie compilate dal basso. Ho scelto di dare ai miei appunti la forma di un Bestiario per riallacciarmi a un’antica tradizione di mappatura del reale. Le voci che leggerete di seguito non includono solo entità che si potrebbero classificare come “animali” o “bestie”, ma anche appartenenti ad altri regni, dove il fattore in comune è l’essere stati toccati dal Capitale – una fluidità di appartenenza e molteplicità di significati che mi sono stati ispirati dalle Wunderkammer.

Le voci presenti:

ANGURIE CUBICHE – ANTENNA MASCHERATA – AUTO AUTONOME – BANANA DI CAVENDISH – BIOTARIATO – BRUTALISMO – CANE ROBOT – CAPITALOCENE ANXIETY DISORDER – CARBON FOOTPRINT – COLAZIONE DEI CAMPIONI – DRONE PER LE CONSEGNE – ECOMIOPIA – FILO SPINATO – GRATTACIELO – INCEL – NEVE ARTIFICIALE – PLANTOCRAZIA – PLASTICA – PORCO CAPITALISTA – PRATO – PROTEINA FEMMINILIZZATA – SALTSCAPE – SEX DOLL – SILOS – TELECAMERA – ZOOMTOWN

Non finisce qui: i viaggi continuano, si prendono nuove note e forse, in futuro, il Bestiario si potrà ampliare – anche con il vostro aiuto.


Link per l'acquisto:

https://www.amazon.it/Bestiario-del-Capitalocene-Lorenzo-Davia-ebook/dp/B0CJ696BGJ/

https://www.delosstore.it/ebook/55006/bestiario-del-capitalocene/

Rassegna stampa:


lunedì 4 settembre 2023

Dormono sulla collina


A novembre 2021 il collega ciffino Fabio Aloisio mi contattò per invitarmi a un’antologia che stava curando assieme Alessandro Napolitano, altro collega del CIF.

Il tema era La Collina, intesa come un cimitero digitale in cui tutte le nostre tracce sono raccolte per dare vita a IA che ricalchino la nostra identità.

L’antologia si ispirava e rileggeva in chiave fantastica “Non al denaro non all’amore né al cielo” di Fabrizio De André e l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Master.

È stato un caso di fortunata sincronicità visto che in quello stesso periodo stavo portando avanti degli studi teorici e pratici di cybersciamanesimo.

Il racconto che ho scritto, “Ghost in the House”, parla di una cybersciamana incaricata di esorcizzare un’antica casa la cui domotica è infestata da misteriose presenze che agiscono operando da uno dei molti aspetti della Collina.

In uscita oggi su www.kipple.it e nei principali store online, in ebook e formato cartaceo.

I link per l’acquisto:

Kipple Amazon

Gli autori:
Davide Del Popolo Riolo
Emiliano Maramonte
Maico Morellini
Damiano Lotto
Simonetta Olivo
Giovanna Repetto
Axa Lydia Vallotto
Hime No Shirotsuki
Roberto Furlani
Lorenzo Davia
Alessandro Napolitano
Fabio Aloisio

Copertina: Ksenja Laginja

sabato 26 agosto 2023

Artigli nei Boschi e la dialettica umano/bestia

A domesticated girl that's all you ask of me,
Darling, it is no joke, this is lycanthropy.
Moon's awake now, with eyes wide open
My body is craving, so feed the hungry
Shakira, She-Wolf

Artigli nei Boschi è un romanzo breve scritto da Giorgio Smojver uscito come ebook nella collana Heroic Fantasy Italia di Delos nel 2019.


Un distaccamento dell’esercito di Finyas, regno erede della sommersa Atlantide, in fuga da un sconfitta militare, si accampa in mezzo alla foresta delle Terre Selvagge. Sarà un lunga notte passata sotto l’assedio di uomini-lupo, i terribili Ulfhednar del Koningast Valpulis, durante la quale si intrecciano le storie di Valawyne di Cinque Querce, Helmor Occhi di Gatto, il capitano Ardacil e lo spathar Kasdir.

Valawyne e Helmor sono i personaggi principali ai quali l’autore ha dedicato un ciclo di storie.

La famiglia di Valawyne è stata uccisa dagli Ulfhednar e la bambina viene allevata dai lupi prima di essere “salvata” e ritornare alla vita con gli esseri umani. Vita che le va stretta, preferendo la ormai ragazza, armata di arco, cacciare gli uomini-lupo nei boschi selvaggi.

Helmor, allevato dal nonno straniero, da giovane fugge con un gruppo di amici, in cerca di avventura e fama. Le cose non vanno bene e il gruppetto prende una brutta strada. Per vendicarsi delle angherie subite da un villaggio accettano la trasformazione in uomini-lupo e massacrano i paesani. Helmor si rifiuta di uccidere un bambino prima e una Huldra (creatura dei boschi) poi. Il gruppo di amici, a quel punto molto ex, tentano di ucciderlo e lui fugge. Anche lui cerca una sua vendetta contro gli Ulfhednar entrando come esploratore nell’esercito di Finyas.

Quella di Smojver è una interessante storia di licantropia, metamorfosi e dialettica tra umano e bestiale. Dato che gli uomini- e donne- lupo hanno un ruolo rilevante, facciamo prima un piccolo excursus storico sui licantropi.

Uomini-lupo appaiono già nell’Epopea di Gilgamesh (III millennio a.C.) dove un pastore viene trasformato dalla dea Ishtar in un lupo (iniziando una lunga tradizione di relazioni tra licantropia e donne malvagie).

Altri lupi mannari appaiono in Ovidio (Ottava ecloga), nelle Metamorfosi di Ovidio e nel Satiricon di Petronio. Plinio il Vecchio, nella Historia Naturalis, ne nega l’esistenza.

È però Sant’Agostino l’autore che più ha influenzato la concezione dei lupo mannari nei secoli successivi. Queste creature, che trasformandosi passano da uomo a lupo e viceversa, sono stati una sfida teologica ed esistenziale non indifferente per il pensiero cristiano. La questione si può riassumere così: l’uomo trasformato in lupo possiede ancora l’animo umano o ne assume uno bestiale? Ne hanno scritto tra gli altri anche Tertulliano, Sant’Ambrogio e San Tommaso d’Aquino.


I testi antichi citati sopra forniscono varie soluzioni. Il pastore colpito da Ishtar mantiene una mente umana. Il Re Licaone di Arcadia, in Ovidio, aveva un animo bestiale anche prima di trasformarsi, mentre in Petronio il lupo mannaro diventa una bestia assumendo comportamenti violenti.

Questa varietà di comportamenti licantropi ha portato a una serie di “classificazioni” del fenomeno.

Secondo Kirby Smith (1) il lupo mannaro può essere volontario (che “attiva” di sua volontà, spesso abitualmente, la trasformazione) o involontario (la trasformazione è “attivata” da una volontà esterna con la vittima non consenziente).

Philippe Menard (2) distingue il lupo mannaro in “falso” (quando conserva l’intelletto razionale umano) e “autentico” (quando si comporta da vero lupo).

Sant’Agostino nella Città di Dio mette le basi per la concezione del lupo mannaro nei secoli successivi: un essere umano non può diventare una bestia, l’anima resta umana anche se il corpo cambia, e la metamorfosi è un inganno o allucinazione.

Almeno fino al 1200 circa gli autori cercheranno di rispettare questi “parametri”. Nelle storie quindi il lupo mannaro conserva la mente e il raziocinio umano, molto spesso la trasformazione avviene spogliandosi degli abiti umani e indossando una pelle di lupo, l’umanità del licantropo viene riconosciuta (spesso da un re o sovrano) e la sua posizione nella civiltà umana ripristinata.

Le altre storie di lupi mannari sono a volte addirittura espressamente proibite (come nelle leggi del Gulathing norvegese).

Dopo il 1200 le cose cambiano, tanto che Caroline Bynum (3) parla addirittura di “Rinascimento Licantropo”: la certezza della conservazione dell’animo umano vacilla, i lupi mannari manifestano la cosiddetta “rabbia del lupo” comportandosi come bestie, si riproducono con lupi, lupe e altri lupi mannari facendo cucciolate… insomma corpi, menti e anime (e assieme a questi ruoli sociali e famigliari) non sono più fissi ma mutevoli.


Per confronto, prendiamo in considerazione la concezione nordica pagana. Intanto l’animo umano non è unico e immutabile come concepito dal cristianesimo, ma una società di parti: l’hamr (pelle, forma, come si appare), hugr (pensiero, mente), fylgja (animale spirito-guida espressione del carattere spirituale) e hamingja (fortuna, destino).

Tale concezione distingue i lupi mannari in hamrammr (mutaforma) dove solo l’hamr, l’aspetto fisico, è quello del lupo, e i casi in cui proprio l’hamingja, l’essenza della persona, è quella lupesca (4) (5).

Sarà forse per questa concezione “partecipativa” dell’anima che nella tradizione nordica nella figura del lupo mannaro si fondono tradizioni di probabile origine diversa: metamorfosi per magia, casta di guerrieri che si copre di pelli di lupo, individui mentalmente instabili lasciati ai margini della società e attività sciamanica si fondono e si ispirano a vicenda nella figura del berserker Ulfhednar.

Ritorniamo al testo di Artigli nei Boschi con questo bagaglio di considerazioni licantrope. Seguono spoiler, quindi per cortesia leggetevi la storia.

Valawyne cresce in mezzo ai boschi, isolata dalla società umana ma in una famiglia che le vuole bene. Genitori e fratello sono uccisi dagli uomini-lupo, lei si salva perché la madre le fa indossare la pelle di un lupo, ucciso dal padre. Un branco la prende con sé, lei impara a vivere coi lupi nei boschi. Viene catturata e riconosciuta come umana quando “la pelle del lupo scivolò dalle mie spalle”. In un villaggio viene adottata da una coppia che aveva perso in passato la figlia: “i miei nuovi genitori … gettarono via le mie vecchie pelli e mi fecero indossare un abito grazioso, da bambina” segnando il suo passaggio dalla bestialità all’umanità. Visto che ormai abbiamo capito (spero) come funziona, notiamo che la madre adottiva le offre l’abito della festa della figlia, ma Valawyne sente il richiamo dei lupi, sa che ci sono degli Ulfhednar che minacciano il villaggio. “Ripiegai il bell’abito azzurro e infilai tunica e calzari di pelle”. (notiamo anche che gli unici amici di Valawyne nel villaggio sono una vecchia e un cacciatore che abitano fuori dalle mura del villaggio. La ragazza proprio non riesce a stare ferma all'intero delle mura che de-finiscono la civiltà). Diventa la Valawyne che troviamo nell’accampamento assediato: una donna-lupo cacciatrice di mostri.

Valawyne (in base alle classificazioni di Smith e Menard) è inizialmente involontaria, viene riconosciuta come umana ma sceglie poi di ridiventare donna-lupa volontariamente. Rimane una trasformazione “falsa” secondo Menard.


Anche quello di Helmor è un percorso particolare. Lasciano, lui e i suoi amici, la comunità dove sono cresciuti. Attraversano le Terre Selvagge, e nel primo villaggio dove arrivano sono arrestati, picchiati ed esiliati. Perché homo homini lupus (6), e la voracità di ricchezze (le pelli catturate dai giovani) trasforma l’essere umano in bestia. Anche i ragazzi sono imbestialiti per questa ingiustizia, alla proposta di una fattucchiera di trasformarsi un uomini-lupo e vendicarsi non possono resistere. In Helmor e nei suoi amici la scelta è volontaria, e “autentica”; per fortuna Helmor riesce a uscirne. Il resto ve l’ho già scritto: Helmor pone un limite alla sua vendetta e alla sua violenza, non può uccidere un bambino innocente e quella che è stata la sua compagna per una notte, la Huldra Synne. Uccide alcuni suoi ex-amici, fugge, entra nell’esercito e caccia gli Ulfhednar.

Abbiamo due protagonisti che si trasformano in lupi, ma la loro trasformazione non toglie loro l’umanità, non fino in fondo almeno nel caso di Helmor. Qui veniamo al nocciolo della questione che già turbava Sant’Agostino. Valawyne e Helmor restano umani perché hanno un’anima umana sotto le pelli di lupo? Gli amici di Helmor quindi sono condannati fin dall’inizio a diventare bestie perché non hanno questo animo umano? Cosa rende diversi questi due gruppi?

Qua entriamo nel campo delle possibilità e probabilmente ogni lettore si sarà fatto la sua opinione. Io noto che sia Helmor che Valawyne crescono in una famiglia che li rispetta. Helmor ha il nonno che indirizza lo sviluppo del ragazzo distogliendolo da inutili vendette famigliari (lunga storia, leggetevi il libro), Valawyne cresce in una famiglia amorevole, viene accettata dai lupi che sono una comunità coesa dove lei ha un ruolo, e poi trova una famiglia adottiva che ha amore da darle.

Gli amici di Helmor non sembrano essere stati così fortunati, cresciuti subendo angherie da parenti o altri membri della loro comunità.

Che in fondo non sia questo a darci un’anima umana? A crescere con altri che ci rispettano?

Alla fine Valawyne e Helmor trovano altre famiglie adottive, stabiliscono altre relazioni umane. Le loro storie non finiscono in Artigli nei Boschi.



Riferimenti

(1) Kirby Smith, “An historical study of the werwolf in literature”, PMLA 9.1 (1894): 1-42

(2) Ménard, Philippe. “Les Histoires de loup-garou au moyen âge.” Symposium in honorem prof. M. de Riquer. Barcelona: Universitat de Barcelona Quaderns Crema, 1984. 209– 38.

(3) Bynum, Caroline Walker. Metamorphosis and Identity. New York: Zone Books, 2001

(4) Grundy, S. S., 'The Cult of Ödinn: God of Death?', The Troth, Inc.

(5) Breen, G. (1999). 'The Berserkr in Old Norse and Icelandic Literature', unpublished Ph.D. thesis, University of Cambridge.

(6) lupus est homo homini: questa frase viene detta da un mercante nell’Asinaria di Plauto, un personaggio quindi che agisce in un contesto di libero mercato e accumulo di capitale. Si potrebbe qui aprire un lungo discorso sulle implicazioni marxiste del lupo mannaro in generale e del testo di Smojver in particolare, tenendo anche conto della lezione di Derrida (Seminari, volume 1, La bestia e il sovrano) ma lascio questo come compito a casa per il lettore.


Ciclo di Helmor di Giorgio Smojver

Artigli nei Boschi, edizioni Delos, 2019

Flutti incantati, edizioni Delos, 2019

La frontiera di Finyas. Valawyne e Helmor. Vol. 1, edizioni Tora, 2021

Le terre selvagge. Valawyne e Helmor. Vol. 2, edizioni Tora, 2022


Altre letture

Wolves and the wilderness in the middle ages, Aleksander Pluskowski, The Boydell Press, 2006.

Metamorphoses of the Werewolf, Leslie A. Sconduto, McFarland & Company, 2008

domenica 16 luglio 2023

Empire of Silence di Christopher Ruocchio.


Mi sono avvicinato alla lettura di questo tomo da 624 pagine per via dei numerosi suggerimenti che ho trovati sparsi sui social. Chi me lo consigliava diceva che prende forte ispirazione da Dune e Gene Wolfe, e quindi non me lo potevo lasciar fuggire.

L’autore è Christopher Ruocchio, che ha pubblicato questo suo primo romanzo nel 2018, il primo della serie nota come “Sun Eater”, che è già arrivata al quinto volume e che dovrebbe finire col settimo. Non mi risulta che sia stato tradotto in italiano.

La sinossi:

It was not his war.

The galaxy remembers him as a hero: the man who burned every last alien Cielcin from the sky. They remember him as a monster: the devil who destroyed a sun, casually annihilating four billion human lives—even the Emperor himself—against Imperial orders.

But Hadrian was not a hero. He was not a monster. He was not even a soldier.

On the wrong planet, at the right time, for the best reasons, Hadrian Marlowe starts down a path that can only end in fire. He flees his father and a future as a torturer only to be left stranded on a strange, backwater world.

Forced to fight as a gladiator and navigate the intrigues of a foreign planetary court, Hadrian must fight a war he did not start, for an Empire he does not love, against an enemy he will never understand.

Il libro viene presentato come le memorie di Hadrian Marlowe, scritte da lui stesso dopo essere entrato nella storia come condottiero genocida e sanguinario. Hadrian nasce da una potente famiglia di nobili di un sistema solare appartenente all’Impero Sollan. La narrazione in prima persona sotto forma di ricordi rimanda direttamente a Gene Wolfe e a Marguerite Yourcenar; Hadrian inizia dalla sua nascita nelle vasche di decantazione della famiglia Marlowe e alla sua educazione, assieme al fratello più giovane, con lo scholiasta di corte. Il padre governa con pugno di ferro il suo feudo, opprimendo i minatori di uranio; Hadrian non è della stessa pasta del padre e presto il conflitto di personalità spinge il protagonista ad andarsene dal Castello di famiglia a esplorare l’universo.

Fugge dal padre comprando un passaggio su un’astronave. Deve passare 10 anni in ibernamento per arrivare su Teukros dove potrà iniziare i suoi studi da scoliasta (scienziato e filosofo). Purtroppo qualcosa va storto e Hadrian di risveglia su un pianeta mai sentito nominare, Emesh, senza denaro. Inizia una nuova vita, prima come ladro e poi come gladiatore, con il sogno di mettere da parte abbastanza denaro da andarsene da lì. Le sue origini nobili vengono scoperte dal signore che governa il pianeta, e Hadrian entra in una serie di giochi politici e dinastici, durante i quali conosce Valka, una xenologa, che lo introduce ai misteri del Silenzio, una misteriosa specie aliena che ha colonizzato la galassia prima dell’umanità – idea considerata eretica dalla Religione Imperiale. Emesh viene attaccato dagli alieni Cielcin, e a questo punto Hadrian dovrà usare tutte le sue doti di guerriero, diplomatico e archeologo per salvare capra e cavoli: fermare la battaglia e riuscire a lasciare il pianeta.

Empire of Silence è incredibilmente derivativo. L’autore ha preso pesantemente dall’immaginario di Dune, Guerre Stellari, Book of the New Sun e Warhammer 40k. Ha preso senza vergogna, senza nascondersi: il suo scopo non è demolire certi cliché della narrativa di fantascienza (l’Impero Galattico, l’Eroe Predestinato, etc…) ma vedere come usarli per raccontare una buona storia. E allora ci sono scudi personali che obbligano a combattere all’arma bianca, gilde spaziali, Inquisitori che danno la caccia a macchine eretiche, e così via.

E sapete cosa? Funziona. La lettura è piacevole, la storia avvince, si partecipa volentieri al gioco di rimandi (ho apprezzato di più quelli sottili a Gene Wolfe); la qualità è superiore, per esempio, a tanti romanzi tie-in di Star Wars o ai prequel di Dune scritti da K.J.Anderson. C’è un amore ed empatia per le specie e le culture incontrate da Hadrian che non ho mai riscontrato in altre opere più famose. Pur essendo incredibilmente classico rispetta tutti i canoni moderni di rispetto per gli orientamenti sessuali e di genere, e riesce a imbastire una critica al sistema feudale come neanche Herbert in Dune (lo so, lo so, ora i fan di Dune mi salteranno al collo: beh leggetevi prima Empire of Silence). Se Warhammer 40k è “Allearsi coi nazisti per sconfiggere Cthulhu”, Sun Eater è “e se Anakin avesse fatto bene a diventare Darth Vader”? E qua sta il dramma di Hadrian, un personaggio che per sua indole vorrebbe tanto esplorare l’universo (si sarebbe trovato a suo agio in Star Trek) ma che si trova invece in un Impero oppressivo a combattere un nemico alieno inarrestabile.

mercoledì 12 luglio 2023

Il museo della Società Ginnastica Triestina

La Società Ginnastica Triestina è un’istituzione locale la cui fondazione risale al 1863, e, cosa insolita, ha mantenuto nel corso dei secoli sempre la stessa sede, uno stabile in centro a Trieste in via della Ginnastica. Quindi sì, noi triestini andiamo a fare pallacanestro, danza e scherma nelle stesse sale e palestre da 160 anni e credetemi è qualcosa di speciale.

La SGT ha all’interno un museo con alcuni cimeli storici relativi alla storia dell’istituzione. E non stiamo parlando di velocipedi o bizzarri strumenti callistenici, ma di documenti che riflettono la storia della città, dal punto di vista particolare di una importante istituzione sportiva. In senno alla SGT ai tempi della Trieste austriaca c’erano gruppi irredentisti più o meno attivi e “accesi”; le attività della SGT venivano spesso osteggiate dalle autorità imperiali che vi vedevano un possibile covo di terroristi.

In epoca di dominio italiano il moto della Società venne coniato da D’Annunzio stesso: Stricto Gladio Tenacius (con le stesse iniziali della SGT).

Il museo è aperto per visite guidate da Zeno Saracino, buon conoscitore della storia di Trieste e narratore di numerosi aneddoti sul passato della SGT.




Il prato, storia di un'ossessione americana

Pensavo fosse una sciocchezza, invece questo The Lawn di Virginia Scott Jenkins, è stato illuminante. Il prato, il classico prato verde tagliato all’inglese posto di fronte alle classiche casette americane, è stato già a partire dall’800 un vero e proprio campo di battaglia, un terreno fertile (in senso letterale e metaforico) dove installare l’idea capitalista dell’Uomo (bianco ed eteronormativo) che lotta e vince contro la natura, sottomettendola alla sua volontà.

Let a man drink or default, cheat on his taxes or cheat on his wife, and the community will find forgiveness in its heart. But let him fail to keep his front lawn mowed, and to be seen doing it, and
those hearts will turn to stone. For the American front lawn is a holy place, constantly worshiped but never used. Only its high priest, the American husband, may set foot on it, and then only to perform the sacred rites: mowing with a mower, edging with an edger, sprinkling with a hose, and rooting with a rooter to purify the temple of profane weeds.

William Zinsser, “Electronic Coup de Grass: The Mowing Ethic,” Life Aug. 22, 1969: 10.



venerdì 9 giugno 2023

Alla ricerca dell'Albero Madre

Finding the Mother Tree: Discovering the Wisdom of the Forest è un libro di memorie della scienziata Suzanne Simard, e racconta come l’autrice sia giunta all’importante scoperta che in una foresta gli alberi comunicano e collaborano tra di loro.


Simard ha iniziato lavorando per compagnie di legnami, il cui problema principale era piantare e far crescere nuovi alberi dopo aver disboscato un’area. La prassi tradizionale era piantare monoculture di alberi con legni pregiati. Il lavoro di Simard, che poi si è finalizzato nella sua tesi di laurea e nel lavoro successivo al Ministero delle Foreste e all’Università della Columbia Britannica, ha riguardato lo studio di cosa rende sana e prospera una foresta.

Gli alberi, ha concluso Simard, comunicano e distribuiscono nutrimento tramite una rete sotterranea di funghi e radici; ci sono alberi “madri” che si prendono cura dell’intera foresta facendo da “nodi” per questa rete. Soprattutto, la collaborazione tra piante è inter-specie.

Nel libro viene narrata una riunione con i proprietari delle compagnie di legname dove emerge tutta la differenza di pensiero tra loro e Simard. La scienziata spiega che gli alberi di specie diverse collaborano e si aiutano a vicenda, proponendo di abbandonare il concetto di monocultura e iniziare i rimboscamenti con più specie, ma i proprietari (capitalisti fino al midollo) non riescono a seguirla in questo cambio di paradigma: per loro esiste solo la competizione, sia in affari che in natura.


Alla fine aveva ragione Simard e il suo concetto di “Rete micorrizica” (o CMN, Common Mycorrhizal Network) è poi diventato quello mainstream di “Wood wide web” e ha rivoluzionato il modo con cui si vedono le foreste e i funghi.

Finding the Mother Tree è incredibilmente educativo perché segue i passi fatti da Simard fin dall’inizio della sua carriera, le sue osservazioni e gli esperimenti concepiti per verificare le sue intuizioni. Esperimenti fatti con ingenuità e poche risorse, visto che il suo ufficio non era quello più finanziato dalla compagnia di legnami. Oltre a essere un bel trattato di scienza è anche un’interessante autobiografia. La vita di Simard è strettamente legata alle foreste dove è nata e ha vissuto. È figlia di una famiglia di boscaioli e la simbiosi con la foresta l’ha acquisita alla nascita.