sabato 26 agosto 2023

Artigli nei Boschi e la dialettica umano/bestia

A domesticated girl that's all you ask of me,
Darling, it is no joke, this is lycanthropy.
Moon's awake now, with eyes wide open
My body is craving, so feed the hungry
Shakira, She-Wolf

Artigli nei Boschi è un romanzo breve scritto da Giorgio Smojver uscito come ebook nella collana Heroic Fantasy Italia di Delos nel 2019.


Un distaccamento dell’esercito di Finyas, regno erede della sommersa Atlantide, in fuga da un sconfitta militare, si accampa in mezzo alla foresta delle Terre Selvagge. Sarà un lunga notte passata sotto l’assedio di uomini-lupo, i terribili Ulfhednar del Koningast Valpulis, durante la quale si intrecciano le storie di Valawyne di Cinque Querce, Helmor Occhi di Gatto, il capitano Ardacil e lo spathar Kasdir.

Valawyne e Helmor sono i personaggi principali ai quali l’autore ha dedicato un ciclo di storie.

La famiglia di Valawyne è stata uccisa dagli Ulfhednar e la bambina viene allevata dai lupi prima di essere “salvata” e ritornare alla vita con gli esseri umani. Vita che le va stretta, preferendo la ormai ragazza, armata di arco, cacciare gli uomini-lupo nei boschi selvaggi.

Helmor, allevato dal nonno straniero, da giovane fugge con un gruppo di amici, in cerca di avventura e fama. Le cose non vanno bene e il gruppetto prende una brutta strada. Per vendicarsi delle angherie subite da un villaggio accettano la trasformazione in uomini-lupo e massacrano i paesani. Helmor si rifiuta di uccidere un bambino prima e una Huldra (creatura dei boschi) poi. Il gruppo di amici, a quel punto molto ex, tentano di ucciderlo e lui fugge. Anche lui cerca una sua vendetta contro gli Ulfhednar entrando come esploratore nell’esercito di Finyas.

Quella di Smojver è una interessante storia di licantropia, metamorfosi e dialettica tra umano e bestiale. Dato che gli uomini- e donne- lupo hanno un ruolo rilevante, facciamo prima un piccolo excursus storico sui licantropi.

Uomini-lupo appaiono già nell’Epopea di Gilgamesh (III millennio a.C.) dove un pastore viene trasformato dalla dea Ishtar in un lupo (iniziando una lunga tradizione di relazioni tra licantropia e donne malvagie).

Altri lupi mannari appaiono in Ovidio (Ottava ecloga), nelle Metamorfosi di Ovidio e nel Satiricon di Petronio. Plinio il Vecchio, nella Historia Naturalis, ne nega l’esistenza.

È però Sant’Agostino l’autore che più ha influenzato la concezione dei lupo mannari nei secoli successivi. Queste creature, che trasformandosi passano da uomo a lupo e viceversa, sono stati una sfida teologica ed esistenziale non indifferente per il pensiero cristiano. La questione si può riassumere così: l’uomo trasformato in lupo possiede ancora l’animo umano o ne assume uno bestiale? Ne hanno scritto tra gli altri anche Tertulliano, Sant’Ambrogio e San Tommaso d’Aquino.


I testi antichi citati sopra forniscono varie soluzioni. Il pastore colpito da Ishtar mantiene una mente umana. Il Re Licaone di Arcadia, in Ovidio, aveva un animo bestiale anche prima di trasformarsi, mentre in Petronio il lupo mannaro diventa una bestia assumendo comportamenti violenti.

Questa varietà di comportamenti licantropi ha portato a una serie di “classificazioni” del fenomeno.

Secondo Kirby Smith (1) il lupo mannaro può essere volontario (che “attiva” di sua volontà, spesso abitualmente, la trasformazione) o involontario (la trasformazione è “attivata” da una volontà esterna con la vittima non consenziente).

Philippe Menard (2) distingue il lupo mannaro in “falso” (quando conserva l’intelletto razionale umano) e “autentico” (quando si comporta da vero lupo).

Sant’Agostino nella Città di Dio mette le basi per la concezione del lupo mannaro nei secoli successivi: un essere umano non può diventare una bestia, l’anima resta umana anche se il corpo cambia, e la metamorfosi è un inganno o allucinazione.

Almeno fino al 1200 circa gli autori cercheranno di rispettare questi “parametri”. Nelle storie quindi il lupo mannaro conserva la mente e il raziocinio umano, molto spesso la trasformazione avviene spogliandosi degli abiti umani e indossando una pelle di lupo, l’umanità del licantropo viene riconosciuta (spesso da un re o sovrano) e la sua posizione nella civiltà umana ripristinata.

Le altre storie di lupi mannari sono a volte addirittura espressamente proibite (come nelle leggi del Gulathing norvegese).

Dopo il 1200 le cose cambiano, tanto che Caroline Bynum (3) parla addirittura di “Rinascimento Licantropo”: la certezza della conservazione dell’animo umano vacilla, i lupi mannari manifestano la cosiddetta “rabbia del lupo” comportandosi come bestie, si riproducono con lupi, lupe e altri lupi mannari facendo cucciolate… insomma corpi, menti e anime (e assieme a questi ruoli sociali e famigliari) non sono più fissi ma mutevoli.


Per confronto, prendiamo in considerazione la concezione nordica pagana. Intanto l’animo umano non è unico e immutabile come concepito dal cristianesimo, ma una società di parti: l’hamr (pelle, forma, come si appare), hugr (pensiero, mente), fylgja (animale spirito-guida espressione del carattere spirituale) e hamingja (fortuna, destino).

Tale concezione distingue i lupi mannari in hamrammr (mutaforma) dove solo l’hamr, l’aspetto fisico, è quello del lupo, e i casi in cui proprio l’hamingja, l’essenza della persona, è quella lupesca (4) (5).

Sarà forse per questa concezione “partecipativa” dell’anima che nella tradizione nordica nella figura del lupo mannaro si fondono tradizioni di probabile origine diversa: metamorfosi per magia, casta di guerrieri che si copre di pelli di lupo, individui mentalmente instabili lasciati ai margini della società e attività sciamanica si fondono e si ispirano a vicenda nella figura del berserker Ulfhednar.

Ritorniamo al testo di Artigli nei Boschi con questo bagaglio di considerazioni licantrope. Seguono spoiler, quindi per cortesia leggetevi la storia.

Valawyne cresce in mezzo ai boschi, isolata dalla società umana ma in una famiglia che le vuole bene. Genitori e fratello sono uccisi dagli uomini-lupo, lei si salva perché la madre le fa indossare la pelle di un lupo, ucciso dal padre. Un branco la prende con sé, lei impara a vivere coi lupi nei boschi. Viene catturata e riconosciuta come umana quando “la pelle del lupo scivolò dalle mie spalle”. In un villaggio viene adottata da una coppia che aveva perso in passato la figlia: “i miei nuovi genitori … gettarono via le mie vecchie pelli e mi fecero indossare un abito grazioso, da bambina” segnando il suo passaggio dalla bestialità all’umanità. Visto che ormai abbiamo capito (spero) come funziona, notiamo che la madre adottiva le offre l’abito della festa della figlia, ma Valawyne sente il richiamo dei lupi, sa che ci sono degli Ulfhednar che minacciano il villaggio. “Ripiegai il bell’abito azzurro e infilai tunica e calzari di pelle”. (notiamo anche che gli unici amici di Valawyne nel villaggio sono una vecchia e un cacciatore che abitano fuori dalle mura del villaggio. La ragazza proprio non riesce a stare ferma all'intero delle mura che de-finiscono la civiltà). Diventa la Valawyne che troviamo nell’accampamento assediato: una donna-lupo cacciatrice di mostri.

Valawyne (in base alle classificazioni di Smith e Menard) è inizialmente involontaria, viene riconosciuta come umana ma sceglie poi di ridiventare donna-lupa volontariamente. Rimane una trasformazione “falsa” secondo Menard.


Anche quello di Helmor è un percorso particolare. Lasciano, lui e i suoi amici, la comunità dove sono cresciuti. Attraversano le Terre Selvagge, e nel primo villaggio dove arrivano sono arrestati, picchiati ed esiliati. Perché homo homini lupus (6), e la voracità di ricchezze (le pelli catturate dai giovani) trasforma l’essere umano in bestia. Anche i ragazzi sono imbestialiti per questa ingiustizia, alla proposta di una fattucchiera di trasformarsi un uomini-lupo e vendicarsi non possono resistere. In Helmor e nei suoi amici la scelta è volontaria, e “autentica”; per fortuna Helmor riesce a uscirne. Il resto ve l’ho già scritto: Helmor pone un limite alla sua vendetta e alla sua violenza, non può uccidere un bambino innocente e quella che è stata la sua compagna per una notte, la Huldra Synne. Uccide alcuni suoi ex-amici, fugge, entra nell’esercito e caccia gli Ulfhednar.

Abbiamo due protagonisti che si trasformano in lupi, ma la loro trasformazione non toglie loro l’umanità, non fino in fondo almeno nel caso di Helmor. Qui veniamo al nocciolo della questione che già turbava Sant’Agostino. Valawyne e Helmor restano umani perché hanno un’anima umana sotto le pelli di lupo? Gli amici di Helmor quindi sono condannati fin dall’inizio a diventare bestie perché non hanno questo animo umano? Cosa rende diversi questi due gruppi?

Qua entriamo nel campo delle possibilità e probabilmente ogni lettore si sarà fatto la sua opinione. Io noto che sia Helmor che Valawyne crescono in una famiglia che li rispetta. Helmor ha il nonno che indirizza lo sviluppo del ragazzo distogliendolo da inutili vendette famigliari (lunga storia, leggetevi il libro), Valawyne cresce in una famiglia amorevole, viene accettata dai lupi che sono una comunità coesa dove lei ha un ruolo, e poi trova una famiglia adottiva che ha amore da darle.

Gli amici di Helmor non sembrano essere stati così fortunati, cresciuti subendo angherie da parenti o altri membri della loro comunità.

Che in fondo non sia questo a darci un’anima umana? A crescere con altri che ci rispettano?

Alla fine Valawyne e Helmor trovano altre famiglie adottive, stabiliscono altre relazioni umane. Le loro storie non finiscono in Artigli nei Boschi.



Riferimenti

(1) Kirby Smith, “An historical study of the werwolf in literature”, PMLA 9.1 (1894): 1-42

(2) Ménard, Philippe. “Les Histoires de loup-garou au moyen âge.” Symposium in honorem prof. M. de Riquer. Barcelona: Universitat de Barcelona Quaderns Crema, 1984. 209– 38.

(3) Bynum, Caroline Walker. Metamorphosis and Identity. New York: Zone Books, 2001

(4) Grundy, S. S., 'The Cult of Ödinn: God of Death?', The Troth, Inc.

(5) Breen, G. (1999). 'The Berserkr in Old Norse and Icelandic Literature', unpublished Ph.D. thesis, University of Cambridge.

(6) lupus est homo homini: questa frase viene detta da un mercante nell’Asinaria di Plauto, un personaggio quindi che agisce in un contesto di libero mercato e accumulo di capitale. Si potrebbe qui aprire un lungo discorso sulle implicazioni marxiste del lupo mannaro in generale e del testo di Smojver in particolare, tenendo anche conto della lezione di Derrida (Seminari, volume 1, La bestia e il sovrano) ma lascio questo come compito a casa per il lettore.


Ciclo di Helmor di Giorgio Smojver

Artigli nei Boschi, edizioni Delos, 2019

Flutti incantati, edizioni Delos, 2019

La frontiera di Finyas. Valawyne e Helmor. Vol. 1, edizioni Tora, 2021

Le terre selvagge. Valawyne e Helmor. Vol. 2, edizioni Tora, 2022


Altre letture

Wolves and the wilderness in the middle ages, Aleksander Pluskowski, The Boydell Press, 2006.

Metamorphoses of the Werewolf, Leslie A. Sconduto, McFarland & Company, 2008