lunedì 6 gennaio 2014

I Senza-Tempo: recensione

Qualche mese fa ho postato su Facebook, sotto forma di Nota, la seguente recensione di I Senza-Tempo di Alessandro Forlani, che riporto qui con qualche legger correzione. I Senza-Tempo non è un romanzo propriamente Steampunk, ma interessante per la maniera con la quale tratta il tema del Passato.
Monostatos è un Senza-Tempo, negromante capace di piegare e modificare il Tempo a sua volontà. Dopo aver dormito per secoli, si risveglia nello scantinato di una scuola e inizia a nutrirsi degli scolaretti ivi presenti. Solo tre di loro si salvano, il biondo Rommel, in nerd Daniele e Nausicaa. Nel resto del romanzo seguiamo a distanza di decenni la piega che ha preso la vita dei tre superstiti, e il loro incontro finale con Monostatos.

Seguono spoilers.

Le vicende dei quattro personaggi principali (oltre ai tre superstiti c'è anche una fotografa di guerra che ha fatto carriera documentando la strage alla scuola), assieme a quelle di una manciata di comprimari, sono sufficienti per toccare un buon numero di tematiche, dalla rapacità dei giornalisti ai giovani disoccupati passando per il voyeurismo e il destino dell’università. Forse anche troppo per un romanzo solo, e infatti talvolta sorge la curiosità (non soddisfatta) di approfondire certe tematiche.

Non nascondo che tifavo per Monostatos. Sebbene sia “brutto, sporco e cattivo”, almeno è puro, nel senso che non è stato contaminato dal mondo moderno, come lo sono state le vite dei tre superstiti o gli altri senza-tempo. A modo suo è portatore coerente di un’estetica e di uno stile di vita che prevalgono su quelli moderni, o meglio sulla loro assenza. Non che faccia molto, a parte mangiare e defecare: il suo unico interesse è vivere, consumando i giovani e le risorse energetiche del mondo, ma siamo forse noi, come società, diversi?

Il modo in cui Monostatos distorce la realtà trasformando gli oggetti nelle loro versioni storiche precedenti si avvicina alla riflessione steampunk sulla tecnologia moderna, vista come semplice cosmetica applicata a strumenti i cui usi sono alla fine sempre gli stessi e decisi sempre dalle stesse persone.

Veniamo alle note negative.
Il romanzo è breve. Non mi faccio ingannare dal fatto che racconti precedenti dell’autore sono stati retconnessi con I Senza-Tempo: il romanzo finisce appena a pagina 119, seguito da altri racconti dell’autore (e da altri due racconti di altri autori).

Le atrocità commesse da Monostatos sono numerose, ma non hanno un grande impatto sul lettore; ad esempio, Monostatos spezza il collo di una bambina e la cosa viene risolta con una riga abbastanza neutra. Le sue vittime vanno e vengono tanto rapidamente e muoiono in maniera talmente anonima che non c’è tempo per sviluppare alcuna empatia con loro. Uno dei protagonisti muore e sincerante non ne ho sentito la minima mancanza né il minimo dispiacere.
E, infine, certe scene d’azione (tipo l’assalto degli archiburoboti a Rommel) mi sono sembrate troppo statiche. Sarà questione di gusti.

È fantascienza? Secondo me no, anche se probabilmente nelle pieghe della fisica quantistica e tra i groppi delle superstringhe si trova qualcosa che possa giustificare l’esistenza di un Senza-Tempo. Il fatto, ribadito dall’autore, che la fisica moderna abbia molto in comune con l’antica negromanzia ci riporta al concetto che grattando la superficie del mondo moderno, le idee del passato (e i suoi personaggi) saltano sempre fuori. Di solito a questo punto la gente inizia a parlare della crisi della fantascienza moderna e a lamentarsi della pubblicazione di questo romanzo su Urania. Io, più modestamente, alzo le spalle e me ne frego. In fondo i costrutti cadaverici di Monostatos non sono più improbabili di AI post-umane o cunicoli spaziali, però almeno sono molto più fighi da vedere.
Fin qui la mia nota/recensione. Su internet l'autore ne deve aver lette di peggiori, tanto da aver pubblicato sul suo blog un post dal titolo "I Senza-Tempo": argomenti civili, allo scopo di affrontare alcune critiche riguardanti supposti elementi filonazisti presenti nel romanzo.

Il post e la breve discussione che ne è seguita sul blog sono abbastanza interessanti e ve ne consiglio la lettura.

Nello stesso post l'autore mi ha anche bacchettato:
 Qualcuno in questa scelta ha interpretato una resa, l’affermazione di una sconfitta: la "gioventù che da sola non può farcela", piuttosto, è Daniele; colpevole per tutto il romanzo di un odioso menefreghismo (perciò l'ho condannato alla mannaia dei Senza-Tempo, e ho scelto di raccontarne la morte con la beckettiana indifferenza per la dipartita di Nagg in Finale di Partita - questo a chi ha osservato che “… le vittime di Monostatos vanno e vengono tanto rapidamente, e muoiono in maniera talmente anonima, che non c’è tempo per sviluppare alcuna empatia con loro. Uno dei protagonisti muore e sinceramente non ne ho sentito la minima mancanza né il minimo dispiacere…”).
Piuttosto mi è piaciuto leggere, nel saggio Com'è facile scrivere difficile dello stesso Forlani, queste righe dedicate al tema del cattivo, dove viene citato Monostatos per il quale, come avevo già detto, ho tifato per tutto il romanzo:
Attenzione ad un errore che commettono tutti (al punto che non si sa, se è davvero un errore): molto spesso l'Antagonista ci riesce di tale fascino, forza e carattere da oscurare l'Eroe e i valori che rappresenta, e i temi “positivi” che gli abbiamo affidato.
Sono convinto che i fan di Darth Vader surclassino in numero quelli di Skywalker (intendo: se non sapessimo dei precedenti...); per Cthulhu, alle elezioni politiche, sarebbe un plebiscito. A volte il pericolo non è solo “artistico”: in una recensione ai Senza -Tempo, nell'aprile 2013, il blogger Iguana Joe mi avvertiva di questo fatto:
Monostatos è tanto figo, troppo probabilmente; tanto che ruba la scena a quello che mi è parso di capire fosse il cuore “politico” del romanzo.
D'altra parte è molto meglio correre questo rischio che scrivere di Antagonisti che risultino macchiette.

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