domenica 22 marzo 2015

Le Porte di Anubis

Ho letto di recente Le Porte di Anubis di Tim Powers, pubblicato nel 1983 e considerato uno dei capostipiti del genere steampunk. E a leggerlo, mi domando come mai sia considerato come steampunk. Ma la risposta la sappiamo: solo perché Jeter ha coniato il famoso termine per descrivere anche i romanzi di Powers.

Ma torniamo al romanzo. Ecco la trama, come riportata da Wikipedia:

Brendan Doyle, il protagonista, viene ingaggiato da un miliardario mezzo pazzo per tenere una conferenza a una decina di altri miliardari sull'ottocentesco poeta inglese Coleridge, col dettaglio che a tale conferenza seguirà una "visione dal vivo" delle capacità di questo autore, grazie a "un salto nel tempo". Tale saltello riuscirà ma le cose non fileranno affatto lisce da questo momento in poi e il protagonista si troverà a passare da un guaio all'altro cercando di tirarcisi fuori e di sopravvivere ad una realtà in cui è un vero e proprio straniero.

Chi si accosti alle Porte di Anubis aspettandosi uno steampunk alla Jeter resterà deluso. Non ci sono macchine strane, non c'è tecnologia futuristica alimentata a vapore. C'è invece tanta magia, che permette anche di viaggiare nel tempo. Perché non tutti hanno tempo e voglia di costruirsi una macchina del tempo con ingranaggi, manopole e dischi rotanti.

Manca il lucido degli ingranaggi e il buon odore dei lubrificanti, ma in compenso il protagonista Brendan Doyle si becca il peggio della Londra del 1810: la sporcizia, la miseria, le corti del mendicanti e dei loro protettori. Ai quali aggiungiamo loschi personaggi quali il Dottor Romany o il Clown Horrabin, immischiati con la magia nera.

L'avventura tira dritta, senza dirigibili ma con qualche stregone che decolla (leggete il romanzo per capire), e con ulteriori viaggi nel tempo, scambio di corpi, divinità egizie reincarnate (ma preferivo il Nikopol di Bilal) e paradossi temporali.

È un romanzo solido, credibile, che aggiunge quanto basta al 1800 presentandoci quell'epoca dal punto di vista più umile e basso possibile, senza debordare in ucronie tecnologiche o realtà alternative. 

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