Dopo Punto Nemo di Domenico
Attianese, recensiamo oggi un altro racconto di un autore autoprodotto, I Robotdi La Marmora di Alessandro Girola, storia appartenente al progetto narrativo
Risorgimento di Tenebra.
La storia è ambientata in un
1800 alternativo nel quale l’umanità è entrata in contatto con gli alieni. I
Nekton, precipitati sulla Terra nel 1864, si sono divisi in due fazioni: quella
del Gene Sovrano alleata degli Asburgo, mentre la fazione (minoritaria) della
Meccanica Evolutiva decise di sostenere il neonato Regno d’Italia.
Premetto subito che io, essendo
delle Vecchie Province, tifo automaticamente per gli Asburgo, mentre i
protagonisti del racconto sono degli eroi di guerra italiani. Vi dò però la mia
parola che questo non ha influenzato la recensione. Sul serio.
Protagonisti del racconto sono,
come dicevo, degli eroi italiani, piloti di Giganti da combattimento, costruiti
usando le avanzate conoscenze Nekton, e impegnati contro gli orrori genetici
messi in campo dagli austriaci (mi domando come mai ogni minimo risultato di
ingegneria genetica viene sempre additato come un orrore, soprattutto se a
farlo sono i nemici, ma non è questo il luogo di discussione).
Non aggiungo altro sulla trama
(se vi interessa, leggetevelo), dico solo che c’è un’emozionante battaglia a bordo
di una balena-dirigibile, vari misteri irrisolti e tanta azione. I personaggi non brillano per profondità, ma nello spazio breve del racconto si è preferito dare spazio all'azione.
L’autore dichiara subito qual è
l’immaginario dal quale ha preso ispirazione: i cartoni animati di robotoni
giganti, il film Pacific Rim e il Ciclo dell’Invasione del Turtledove. Pare
dimenticarsi di citare Leviathan di Scott Westerfeld nel quale senza paura è andato a cacciare e riportare
indietro la balena volante e le fazioni in gioco (biologia vs meccanica). Ma
non gliene faccio una colpa, lo steampunk vive di questi “prestiti”.
È una
colpa molto più grave aver messo gli Asburgo come cattivi… ma questo non
influenza la recensione, ovvio.
Mi sono trovato un po’ male con
la descrizione dei robot. Dovrebbero rubare la scena a… tutto il resto, eppure
sono poco descritti e non ci si riesce a fare un’idea della loro estetica. Sono
automi ottocenteschi con rivetti, molle e ingranaggi? Sono robotoni cromati in
pieno stile dieselpunk? Sono costrutti ipertecnologici alieni? Sono tutte
queste cose assieme? E dove finisce una cosa e comincia l’altra? Penso che se qualcuno
mette assieme, sia ingegneristicamente che letterariamente, due culture (e
quindi due stili, estetiche, tecnologie) aliene tra di loro, allora la cosa si
deve vedere nel racconto, si devono vedere i punti di sutura tra le diverse
tecnologie. Per come vengono descritti, i robot del Girola potrebbero trovare
posto in qualsiasi epoca, e per tanto risultano abbastanza anonimi.
Purtroppo.
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