The Galaxy and the Ground Within è l’ultimo della fortunata serie Wayfarer, ma il primo in assoluto che ho letto di Becky Chambers, autrice che ha vinto numerosi premi per i suoi romanzi: Hugo, Locus, Arthur C. Clarke e tanti altri.
Il genere è “space opera” che incontra lo “slice of life”: non ci sono battaglie epiche, catastrofi galattiche o l’universo da salvare, ma personaggi “umani” che si incontrano e cercano di andare d’accordo.
In GGW un inconveniente tecnico costringe tre alieni a restare fermi una manciata di giorni in una specie di motel interplanetario, posto su un pianeta sperduto sede di hub di tunnel spaziali.
Non ci sono esseri umani, sono tutti alieni, ognuno con le caratteristiche peculiari della propria biologia, cultura e storia personale.
Pei è una capitana d’astronave tosta e agguerrita appartenente agli alieni Aeluon, che comunica solo cambiando colore del viso.
Speaker è una disabile Akarak, popolo costretto a vagabondare tra le stelle visto che il loro pianeta madre è stato consumato da alieni sfruttatori. Si muove in un esoscheletro visto che non respira l’ossigeno ma il metano.
Roveg è un esiliato dei Quelin, specie di insetti che vivono in una dittatura.
Ouloo è la Laru (tipo lama senzienti a sei arti) che gestisce il motel spaziale e si trova a dover intrattenere e mettere a loro agio creature piuttosto diverse.
Può un romanzo dove i personaggi passano il tempo a chiacchierare essere interessante? Non so come ma sì, Chambers mi ha tenuto incollato con la descrizione di strane biologie, usanze ancora più strane, contrasti culturali e politici.
Mi è piaciuto l’atteggiamento della scrittrice: umile, accogliente, positivo.
Sicuramente una lettura rilassante in questo periodo.
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