I Gioielli di Aptor è la prima opera pubblicata da Samuel R. Delany, che nel corso della sua carriera vincerà 4 Premi Nebula e 2 Premi Hugo.
Studioso di matematica e letteratura, di colore, bisessuale, dislessico, scrittore di fantascienza, fantasy e saggi sul rapporto tra sessualità e società: non potevo che innamorarmi di una persona così. E dovrebbero bastare questi brevi appunti per capire che le sue storie propongono un punto di vista molto particolare e che sono una voce interessante da ascoltare nel panorama della letteratura di genere.
Assieme alla trilogia della Caduta delle Torri (1963-1965), The Jewels of Aptor fa parte della prima fase della sua carriera. , costituita da storie abbastanza convenzionali ma alle quali riesce a dare un twist personale e molto promettente.
Questo romanzo è uno science fantasy ambientato in una terra del lontano futuro, dove la tecnologia del passato è diventata magia.
L’unica civiltà sembra essere quella di Leptar, sede del culto della Dea Argo, alla quale si contrappone l’Isola di Aptor dove vivono i mostri (hic sunt leones) e si venera il nero Dio Hama.
Il protagonista è Geo, un poeta, che viene coinvolto assieme al suo forzuto amico Urson in un’avventura che lo porta sull'Isola di Aptor per rubare un potente Gioiello e liberare l’Incarnazione della Dea.
Li accompagnano nell'avventura il ladro Serpe, ragazzo dalle quattro braccia e dai poteri telepatici, e Iimmi, il marinaio che in passato era già stato ad Aptor in una precedente sfortunata spedizione.
Detta così la trama potrebbe sembrare banale, ma ben presto scopriamo che le cose non sono come sembrano. Non c’è una sola Dea Argo, ma ben tre (la giovane, la madre e la vecchia) ognuna con obiettivi diversi. E le adepte della Dea sembrano avere piani tutti loro.
La donzella in pericolo da salvare non è così in pericolo e riesce benissimo a salvarsela da sola, rubare il Gioiello e fuggire senza quasi alcun aiuto da parte dei nostri avventurieri.
Può non sembrare granché, ma in confronto alla media degli anni ’60 Delany era all'avanguardia, un passo davanti a tutti.
Trovo impressionante che Delany abbia scritto questo romanzo a soli venti anni. Le due isole, le due divinità, la dea dai tre volti, il viaggio in mare: viene qui mostrata una maturità e una conoscenza dei miti narrativi che non ho trovato nemmeno in autori molto più maturi. Ma nonostante tutto, l’azione non manca. I nostri incontrano vari tipi di mostri (lupi mannari, uomini-pipistrello, antiche creature marine) e attraversano una città abitata da un mostro di gelatina che agisce muovendo gli scheletri delle persone cha ha assimilato.
Si possono già identificare alcuni degli elementi che diventeranno caratteristici dell’opera di questo autore.
Il poeta come protagonista è una cosa che ritroveremo in opere successive, assieme alla figura del ladro: Delany ha sempre sostenuto che poeti e criminali hanno molto in comune, perché entrambi sono persone che vivono ai confini della società.
La coppia con l’intellettuale basso e magro e l’amico alto e muscoloso. La loro amicizia si scoprirà essere amore, ma troppo tardi, perché uno dei due è destinato a morire.
Un’altra categoria di persone che vivono ai margini della società sono i disabili: anche qui Delany rompe più di qualche schema amputando un braccio al suo protagonista e lasciandolo monco per l’ultimo terzo della storia. E non c’è nessun miracolo o tecnologia che possa riparare al danno: Geo resterà un disabile per il resto della sua vita.
C’è un personaggio di colore, Iimmi, ma sfida tutti i cliché di quegli anni: è colto (si è preso un anno sabbatico dall'università per girare il mondo) e non muore (anzi il primo a morire è un bianco di nome Whitey, LOL).
Altro tema caro all'autore è l’interpretazione del testo. Nei Gioielli di Aptor appaiono prima una poesia appartenente ai Riti di Argo (o di Hama? Non ricordo bene) ma ogni volta che viene letta o recitata alcuni versi sono cambiati, perché censurati o ricordati male. C’è anche una profezia, e nel corso del romanzo vengono proposte ben due soluzioni all’enigma che rappresenta.
Per non dire dell’interpretazione delle stesse avventure dei protagonisti, indecisi sul perché certe cose accadano, sul loro motivo e significato.
C’è una soluzione agli enigmi? Qualcosa viene lasciato all'intuizione del lettore, qualcos'altro viene spiegato esplicitamente alla fine; ma solo perché una risposta è quella finale non significa che sia quella corretta o definitiva.
Delany è un piacere da leggere, sia in originale che tradotto. Come già detto l’autore ha più volte dichiarato di essere dislessico, e che questo lo porta a riscrivere numerose volte ogni singola pagina. Quella di Delany è un scrittura ricercata, a volte può essere di difficile comprensione: in questi casi però abbandonarsi al flussi di parole, immagini, sensazioni e colori è la cosa migliore da fare. Eccovi un piccolo assaggio tratto dall'inizio del romanzo.
Waves flung themselves at the blue evening. Low light burned on the wet hulks of ships that slipped by mossy pilings into the docks as water sloshed at the rotten stone embankment of the city.
Gangplanks, chained from wooden pullies, scraped into place on concrete blocks, and the crew, after the slow captain and the tall mate, descended raffishly along the wooden boards which sagged with the pounding of bare feet. In bawling groups,pairs, or singly they howled into the narrow waterfront streets, into the yellow light from open inn doors, the purple shadowed portals leading to dim rooms full of blue smoke and stench of burnt poppies.
The Jewels of Aptor è stato pubblicato per la prima volta dalla Ace Books nella collana Ace Double, assieme al romanzo Second Ending di James White, e per far stare il romanzo nei limiti previsti dalla casa editrice fu tagliato ben un terzo delle pagine. Tagli che vennero reintegrati nell'edizione successiva, del 1968. È uscito in Italia come primo numero della Fantacollana nel 1973 tradotto da Giampaolo Cossato e successivamente nel 1978 nella collana I Grandi della Fantascienza 8 dell’Editrice Il Picchio, tradotto da Alda Carrer.
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