The Fall of the Towers è una trilogia di romanzi post-apocalittici scritta da Samuel Delany, composta dai volumi Captives of the Flame (1963, rinominato Out of the Dead City nell’edizione del 1968), The Towers of Toron (1964) e City of a Thousand Suns (1965)
Captives of the Flame nella sua prima versione era ambientato nello stesso mondo post-atomico dei Gioielli di Aptor, anche se ogni riferimento è stato eliminato nelle edizioni successive.
Questa trilogia è considerata un Delany minore e viene spesso trascurata. I romanzi non sono l’esordio fulminante dei Gioielli, e nemmeno all’altezza dei capolavori successivi quali Nova o Dhalgren. Perché leggerli, allora? Perché bene o male contengono tutto quello che ha fatto grande Delany. La prosa, i personaggi, il modo in cui intesse la trama.
E qui di trama ne abbiamo. Arrivati a un terzo di Captives l’autore sta ancora introducendo nuovi personaggi; soprattutto sembra divertirsi a prendere i suoi protagonisti e spostarli da un ambiente a loro noto a uno completamente estraneo e vedere cosa succede.
Dopo il Grande Fuoco che ha reso inabitabile la maggior parte del pianeta, la civiltà è rinata sull’isola di Toron, che ha fondato un impero e iniziato a conquistare e colonizzare la terraferma, fermandosi al confine con la zona radioattiva, dove è stata fondata la città (poi abbandonata) di Telphar.
Il governo di Toromon percepisce la presenza di un nemico oltre la zona proibita e dichiara guerra. Non si sa esattamente contro chi, l’importante è mobilitare la popolazione e dimenticare i problemi di disoccupazione. Intanto, si viene a sapere che la guerra di Toron è solo un aspetto di una guerra tra creature cosmiche interdimensionali.
E questo è solo il primo romanzo.
È interessante rileggerlo adesso, a distanza di 50 anni, e trovarvi preoccupazioni così attuali: l’immigrazione, la disoccupazione, il ruolo della guerra come strumento di controllo sociale interno, l’influenza della tecnologia sulla società.
La trama è quella di un romanzo pulp dell’epoca, qualcosa preso da John Carter per esempio. Le descrizioni sono poetiche ma forse un po’ confuse e non trasmettono la grandezza delle idee dell’autore. C’è pochissima azione, molti dialoghi tra i personaggi; il buon Delany questa volta non è riuscito ad amalgamare bene tutti gli elementi. La storia procede in equilibrio: da un lato continui misteri e la sensazione perenne che ci sia sempre qualcos’altro che ci viene nascosto, dall’altro non c’è mai tanta confusione di trama e personaggi da voler abbandonare la lettura.
La storia è post-apocalitica, decisamente fantascientifica, ma in un setting fantasy – e l’autore si diverte giocare con i cliché di tutti e tre questi generi. Uno degli elementi più interessanti è il messaggio pacifista di Delany. La guerra dell’Impero di Toromon è inutile, è ridicola. È collegata a motivi politici interni: in un’economia basata sulla pesca, la creazione di vasche per la crescita del pesce porta a un aumento della disoccupazione. E la guerra serve proprio per far fare qualcosa a questi disoccupati.
"Because," interrupted Geryn, suddenly pointing directly at Tel's face, "we have to fight. Toromon has gotten into a situation where its excesses must be channelled toward something external. Our science has outrun our economics. Our laws have become stricter, and we say it is to stop the rising lawlessness. But it is to supply workers for the mines that the laws tighten, workers who will dig more tetron, that more citizens shall be jobless, and must therefore become lawless to survive. Ten years ago, before the aquariums, fish was five times its present price. There was perhaps four per cent unemployment in Toron. Today the prices of fish are a fifth of what they were, yet unemployment has reached twenty-five per cent of the city's populace. A quarter of our people starve. More arrive every day. What will we do with them? We will use them to fight a war. Our university turns out scientists whose science we can not use lest it put more people out of work. What will we do with them? We will use them to fight a war. Eventually the mines will flood us with tetron, too much for even the aquariums and the hydroponic gardens. It will be used for the war."
"Then what?" asked Tel.
"We do not know who or what we are fighting," repeated Geryn. "We will be fighting ourselves, but we will not know it (…)”
Chi sono i protagonisti principali del romanzo?
Tel, il ragazzino che fugge dal padre pescatore e cerca fortuna nella capitale, dove deve vivere come immigrato clandestino.
Jon Koshar, prigioniero evaso che è in comunicazione con delle entità aliene che lo vogliono usare come pedina contro il terribile Signore delle Fiamme. Dopo un incidente si ritrova a riflettere la luce in maniera anomala, diventando traslucido (è cambiato il suo indice di rifrazione: non dimentichiamo qui il concetto di prisma ottico che ritorna nell’opera dell’autore).
Clea Koshar, sua sorella, esperta matematica.
La Duchessa di Petra, altra pedina contro il Signore delle Fiamme.
Let, fratello del Re di Toromon, che viene sequestrato dai Ribelli e portato a vivere nella Foresta, così che possa imparare la vita fuori dalla Corte. Non è un caso che sia un palindromo di un altro personaggio. Delany adora questo genere di cose (sto guardando proprio te, cara/o Grendahl) e non è l’unico caso nella trilogia.
Alter, acrobata e membro dei Ribelli. Tutte le parti acrobatiche derivano dall’esperienza stessa dell’autore, che al college praticava questa disciplina. Quando dicono “scrivi di ciò che sai”...
C’è anche questa scena, tipicamente Delanyana, dove dei personaggi discutono di narrativa. Il Principe Let si è fatto raccontare, una sera, una storia dalla zia, la Duchessa di Petra. Il giorno dopo chiama la zia per farsi dire la conclusione della storia.
"Well," said Petra, "when the guard changed, and the rope tripped him up when he was coming down the steps, the rear guard ran around to see what had happened, as planned, and they dashed through the searchlight beam, into the forest, and ..." She paused. "Anyway, one of them made it. The other two were caught and killed."
"Huh?" said Let. "Is that all?"
"That's about it," said Petra.
"What do you mean?" Let demanded. Last night's version had contained detail upon detail of the prisoners' treatment, their efforts to dig a tunnel, the precautions they took, along with an uncannily vivid description of the scenery that had made him shiver as though he had been in the leaky, rotten-walled shacks. "You can't just finish it up like that," he exclaimed.
Show, don’t tell sembra dire il piccolo Let.
Il finale (spoiler!) è amaro. Nonostante il nemico alieno, il Signore delle Fiamme, venga sconfitto, la guerra si fa comunque - appunto perché non era istigata dalla presenza di un ostile esterno, ma perché nasce dall’interno dell’Impero. I romanzi successivi approfondiranno questo eccesso, mettendo i soldati in capsule di realtà virtuale dove combattono una guerra finta ma che uccide realmente.
Captives of the Flame è stato pubblicato nella collana Ace Double, in coppia con The Psionic Menace di Keith Woodcott (che in realtà era uno pseudonimo di John Brunner). La versione riscritta nota come Out of the Dead City è stata pubblicata da Signet Book nel 1968. The Towers of Toron è uscito nel 1964 sempre per Ace Double, in coppia con The Lunar Eye di Robert Moore Williams. City of a Thousand Suns è uscito nel 1965 sempre per la Ace Books. Il volume completo The Fall of the Towers è uscito infine nel 1970 (numero 22640 della Ace Double).
Sono usciti tutti e tre in Italia nel 1976. La Città Morta come numero 548 della collana I Libri Pocket della Longanesi, Le Torri di Toron e La Città dei Mille Soli come numeri 1 e 3 nella collana Fantapocket (sempre Longanesi). Tutti i volumi sono stati tradotti da Maria Luisa Cesa Bianchi. Lo stesso anno è uscito anche il volume unico con i tre titoli, La Caduta delle Torri, numero 21 della collana Varia.
L’inizio del romanzo:
The green of beetles' wings ... the red of polished carbuncle ... a web of silver fire. Lightning tore his eyes apart, struck deep inside his body; and he felt his bones split. Before it became pain, it was gone. And he was falling through blue smoke. The smoke was inside him, cool as blown ice. It was getting darker.
He had heard something before, a ... voice: the Lord of the Flames.... Then:
Jon Koshar shook his head, staggered forward, and went down on his knees in white sand. He blinked. He looked up. There were two shadows in front of him.
To his left a tooth of rock jutted from the sand, also casting a double shadow. He felt unreal, light. But the backs of his hands had real dirt on them, his clothes were damp with real sweat, and they clung to his back and sides. He felt immense. But that was because the horizon was so close. Above it, the sky was turquoise—which was odd because the sand was too white for it to be evening. Then he saw the City.
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