Qualche anno fa ho avuto il piacere di intervistare Antonio Serra riguardo Greystorm, il fumetto steampunk da lui creato e che è uscito in 12 numeri tra il 2009 e il 2010. L’intervista era apparsa originariamente sulla rivista Doctor Fantastique's Show of Wonders, sia nell’edizione online che in quella cartacea. La rivista ha avuto poi un periodo di crisi e sebbene sia ritornata online, l’intervista originale non è più disponibile. La ripubblico volentieri sul mio blog, aggiungendo per l’occasione una domanda riguardante la morte di Nathan Never.
Il protagonista dell’omonima testa Bonelli, infatti, è morto nel numero 303 della serie, assieme a praticamente tutto il resto del suo mondo. Ma la serie non è finita, e continua raccontandoci le avventure del Nathan Never di un universo parallelo.
Da grande appassionato della serie, la cosa mi ha alquanto scombussolato.
Vuole
parlarci di lei e del suo lavoro?
È una lunga storia, che riassumerò brevemente.
Sono nato nel 1963, sono sempre stato un grande appassionato di
fumetti, di avventura, di fantascienza. Del 1986 lavoro per Sergio
Bonelli Editore, che mi ha dato la possibilità di concretizzare i
miei desideri e le mie idee. Con lui ho potuto presentare al pubblico
Nathan Never, un poliziotto del futuro creato con i miei amici
Michele Medda e Bepi Vigna, e altri personaggi di mia invenzione come
Gregory Hunter e Greystorm.
Ci
introduce Greystorm?
È una miniserie ambientata a cavallo tra la fine
dell’ottocento e i primi anni del novecento. Racconta di uno
scienziato che, attraverso la scoperta di una sorta di virus, cerca
di trovare il modo di controllare l’umanità secondo i suoi voleri.
A
chi si è ispirato per il personaggio?
Certamente
a classici modelli di avventura come il Capitano Nemo o Robur il
conquistatore, personaggi creati da Jules Verne proprio negli anni in
cui è ambientata la miniserie.
Perché
ha scelto il genere steampunk? E perché ambientare la serie nel
passato?
Le scoperte e le invenzioni di Greystorm non
alterano la realtà storica così come noi la conosciamo, quindi io
non definirei la storia esattamente steampunk, ma è chiaro che il
parallelismo è inevitabile e forse anche giusto. La scelta di
ambientare questa avventura nel passato nasce da molti fattori, tra
cui la mia passione personale per Verne e il fatto che il pubblico di
Sergio Bonelli Editore apprezza quel periodo storico, in cui si
muovono alcuni dei personaggi più amati della Casa Editrice, Tex, il
ranger, e Zagor, personaggio avventuroso che vive le sue storie nella
immaginaria foresta di Darkwood.
Quali
sono state le vostre fonti di ispirazione, sia dal punto di vista
estetico che narrativo?
Narrativamente tutta le letteratura dell’epoca,
da Verne a Poe a Conan Doyle. Graficamente, i nostri riferimenti
principali sono state le illustrazioni dei volumi di questi stessi
autori (e in particolar modo quelle dei romanzi di Verne) che ci
hanno suggerito oggetti, ambientazioni e il segno “tratteggiato”
che ha caratterizzato la miniserie.
Legs
Weaver fu il primo fumetto Bonelli con protagonista una donna;
Greystorm è stato il primo fumetto Bonelli con un protagonista
cattivo. È stato difficile introdurre queste novità?
Sì e
no. Sergio Bonelli era un vero appassionato di fumetti e di
avventura, e basava le sue scelte più sulla forza dei personaggi che
su strutture “formali” del racconto. Legs e Greystorm lo avevano
incuriosito e colpito, e ne vedeva le potenzialità., anche se,
magari, i suoi gusti personali andavano in direzioni diverse.
Successivamente
a Legs Weaver, lei crea Gregory Hunter, ispirato a estetica e storie
della fantascienza degli anni ’50, un genere che al giorno d’oggi
sta tornando di moda (si veda per esempio l’Ignition City di Warren
Ellis) e a cui vengono dati molti nomi: atompunk, spacepunk,
retro-futurismo etc…
Da
dove nasce questo suo interesse per il retro-futurismo?
Beh, ahimé, ai miei tempi non era per nulla
“retro”... quindi la mia passione nasce da un’idea di futuro
ottimistica e dinamica che, purtroppo, il mondo ha perso per sempre.
Ormai, appunto, quel futuro è diventato un “passato” che però,
almeno nel caso di Gregory Hunter, ha dimostrato di interessare solo
un pubblico molto ristretto.
È
stato difficile pubblicare in Italia un fumetto Steampunk?
No. Una
volta che l’editore era d’accordo, più che altro è stato
difficile mettere insieme una documentazione organica che facesse
vivere ai lettori un mondo omogeneo e credibile. Ci sono voluti anni
di lavoro, ma sia io che tutti i miei collaboratori siamo abbastanza
soddisfatti del risultato.
Come
mai è stata scelta un'ambientazione anglosassone invece di
sfruttare, per esempio, l'800 italiano?
Ragioni varie, che vanno anche qui dalla mia
passione personale per l’ambientazione anglosassone al fatto che,
storicamente, la scelta di collocare le storie nel nostro Paese non
ha mai funzionato benissimo dal punto di vista commerciale, anche se
una serie bella e curata come Volto Nascosto ha dimostrato il
contrario.
Assieme a Michele Medda e Bepi Vigna avevate
creato nel 1991 il fumetto di fantascienza Nathan Never, ambientato
in un lontano futuro. Greystorm invece è ambientato nel passato, e
nel primo albo della serie vediamo come il protagonista si immagina
il futuro: auto volanti, colonie sulla Luna e così via... che sono
però elementi comuni e pane quotidiano in Nathan Never. Lei come
interpreta questo passaggio dal futuro vissuto a quello solamente
immaginato? È un passo avanti o un passo indietro?
Come
gia detto, un passo indietro. I lettori di oggi non hanno più
nessuna speranza o aspettativa nel futuro. Il futuro della nostra
società è ormai perduto, e questa è una grande tristezza oltre che
un grave problema sociale.
L'origine
del contagio e della voce che Greystorm sente non vengono spiegati
completamente, a mio avviso lasciando molti interrogativi. Il finale
stesso della serie è molto aperto. Perché? Il ciclo può ritenersi
chiuso?
Personalmente penso che le spiegazioni siano state
anche eccessive. Ma ormai, passati anni dalla pubblicazione della
miniserie (ora ristampata in tre corposi volumi editi sempre da
Sergio Bonelli Editore) mi è stato chiesto di proporre al pubblico
una nuova storia. Con la collaborazione di Gianmauro Cozzi (che, con
me, ha creato il personaggio) e di Davide Rigamonti, uno
sceneggiatore dalle doti indiscusse, ci siamo messi al lavoro e per
Ottobre vedrà la luce, in tutte le edicole, un nuovo albo intitolato
"Ex Vitro Vita". I disegni saranno della bravissima Lucia
Arduini, e la storia si inserirà nel solco dei "capitoli
dimenticati" che hanno caratterizzato l'ultimo numero della
serie.
Per
metà della serie un elemento cardine è l'amicizia tra Greystorm e
Howard. Sono due personaggi opposti sia come carattere che come
aspirazioni. Su cosa è basata la loro amicizia?
Proprio
su questa differenza. Ognuno vede nell’altro quello che, per certi
versi, vorrebbe essere. In particolar modo è Jason Howard a
“invidiare” la forza e l’inventiva di Robert Greystorm, che,
dato il suo carattere, vede nell’”amico” (e uso le virgolette)
più una fonte di denaro con cui finanziare le sue scoperte che
altro.
È
prevista un'edizione per il mercato anglosassone?
Allo stato attuale delle cose no. Ma è chiaro che
se un editore straniero di dimostrerà interessato al prodotto, la
nostra Casa Editrice è ben disposta a qualsiasi sviluppo in questa
direzione.
A
quali altri progetti sta lavorando al momento? Pensa di ritornare
allo Steampunk in futuro?
Come ho detto, un nuovo volume di Greystorm è
alle porte. Per il resto sto lavorando a nuovi progetti
(fantascientifici, sentimentali, realistici) che sono ancora in via
di definizione, tutti in collaborazione con altri colleghi e amici
quali il già citato Davide Rigamonti, Alberto Ostini, Anna Lazzarini
e Maurizio Rosenzweig... vedremo che cosa ci riserverà il futuro...
Il
primo concept di Greystorm è stato molto diverso dal risultato
finale?
Molto.
Siamo passati da una giovane donna pilota nella seconda guerra
mondiale e uno scienziato folle alle soglie del novecento. Ma si
tratta di normale dialettica interna alla Casa Editrice. Ognuno mette
sul piatto le proprie preferenze e aspirazioni, e man mano il
progetto si focalizza e prende vita.
Lei
ha coniato la cosiddetta Legge di Serra "se pensi di aver avuto
una idea originale un altro l'avrà avuta prima di te. E se l'idea ti
appare geniale ci saranno certamente altri dieci ad averla avuta
prima di te!”. Al giorno d’oggi, è più facile o più difficile
avere un’idea originale rispetto a, diciamo, 20 anni fa?
Come
dice la legge di Serra, non è tecnicamente possibile avere idee
originali, né ieri né oggi. Tutto sta nella passione di chi scrive
e disegna. Se ci sarà questa passione, il prodotto finito avrà una
sua personalità che potrà colpire il pubblico. Altrimenti avremo
solo un ennesimo fumetto (o libro, o film,o serie TV) che ripercorre
inevitabilmente le stesse strade di altri prodotti precedenti.
Aggiungo a distanza di qualche anno una domanda
su Nathan Never. Negli ultimi albi pubblicati (301, 302 e 303)
abbiamo assistito non solo alla morte del protagonista, ma di fatto
alla distruzione totale dell’universo narrativo, usando però la
“scappatoia” degli universi paralleli per permettere alla serie
di continuare. Da grande appassionato della serie è stato un po’
uno shock. Come è stato invece per lei, come creatore della serie,
dare una fine a tutto?
Prima
di tutto la parola "scappatoia" proprio non mi convince. Il
multiverso è stato, almeno nelle avventure scritte da me, un
contenuto sempre presente sulle pagine di Nathan Never, e la storia
pubblicata nei tre albi citati ha una valenza celebrativa e simbolica
data l'occasione dei 25 anni di presenza in edicola di Nathan Never.
Come ho scritto, questa idea era presente fin dagli inizi, e quindi,
al massimo, è una scelta (contestabile, se vuoi) ma non una
scappatoia. Lo sarebbe se i concetti espressi nella storia venissero
fuori dal nulla, invece sono stati introdotti e coltivati all'interno
della serie fin dall'inizio e hanno fatto parte di saghe importanti
come quella contenuta nei primi tre giganti.
Per quanto riguarda la seconda parte della
domanda, essendo impegnato in molti nuovi progetti e nel lavoro di
editor di molte testate della Casa editrice, ho sentito in effetti il
bisogno di "salutare" Nathan Never con una storia
conclusiva. Anche qui, come ho già detto e scritto, non la vedo come
un finale, ma come un nuovo inizio per coloro che verranno dopo di
me. Ancora, scriverei la parola "morte" tra virgolette. I
personaggi dei fumetti, ricordiamolo, non sono vivi e quindi non
possono morire. Sono immortali per definizione, e esistono,
soprattutto, nei nostri cuori, nei nostri ricordi e nelle nostre
emozioni. Tu dici di essere rimasto colpito dalla storia... bene, è
proprio quello che speravo. Che tu avessi un ricordo emozionante del
personaggio, che ti accompagnerà anche quando leggerai gli albi
futuri, fino alla prossima nuova emozione. Speriamo sia già nel
prossimo numero!
E
grazie a tutti voi!
Proverò a cercare i primi numeri in rigatteria, della Bonelli di steampunk avevo letto l'autoconclusivo Scacco alla Regina (Le Storie n. 19) che era, mah, carino, privo di mordente come da tradizione della casa editrice...
RispondiEliminaSe li trovi, poi voglio leggere la tua recensione!
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