giovedì 20 giugno 2024

The Motion of Light in Water

The Motion of Light in Water: Sex and Science Fiction Writing in the East Village è l’autobiografia scritta da Samuel Delany e pubblicata nel 1988, riguardante i suoi primi 23 anni di vita, con particolare dettaglio per gli anni ’60.

Apprendiamo delle scuole e campi estivi frequentati (e le prime esperienze sessuali), la conoscenza con la poetessa Marilyn Hacker e il loro matrimonio aperto (Delany che andava a rimorchiare altri uomini con cui fare sesso) e illegale (illegale a New York, dovettero cambiare stato per potersi sposare, essendo lui di colore e lei bianca); l’inizio della sua carriera come scrittore di fantascienza (si arriva fino alla stesura di The Star Pit); il ricovero in ospedale psichiatrico a causa degi attacchi di panico in metropolitana; il suo viaggio in autostop fino in Texas dove ha lavorato come pescatore di gamberetti (l’idea era di fare esperienza per descrivere meglio l’equipaggio dell’astronave di Babel-17); la relazione a tre tra lui, sua moglie e Bob (un tizio letteralmente trovato sul marciapiede).

È un memoir scritto con la coscienza di non poter (e voler) essere completo e corretto. La prima parte è dedicata a studiare una frase che Delany ha detto a tutti per decenni, ovvero

“My father died of lung cancer in 1958 when I was seventeen.”

La frase, come lui stesso spiega, è cronologicamente sbagliata (suo padre non è morto nel 1958 ma nel 1961 e lui non aveva 17 anni quando è successo). La memoria non è quello che è successo, ma come gli sembra vero che sia accaduto, la sensazione che gli ha dato. La narrazione di The Motion non è lineare. Si fanno salti avanti e indietro, alcuni eventi vengono narrati da più punti di vista – sempre dal punto di vista di Delany, ma di volta in volta del Delany-studente, Delany-omosessuale, Delany-scrittore etc... Come scritto da un altro recensore, sembra che l’autore si sia svuotato la testa come una tasca dei pantaloni e prendendo un oggetto alla volta tenti di ricostruire un puzzle – senza nemmeno essere sicuri che il puzzle ci sia. Più volta si mette in guardi del trasformare la propria vita in una storia (so che a questo punto avrebbe senso che succeda questo e quest’altro, invece etc…)

Il sesso è esplicito, Delany affronta la cosa (nella vita come nello scritto) con la massima apertura e onestà. Non turba perché c’è o è omosessuale, ma per la facilità con la quale lo si trova, nella New York degli anni 60. Delany dimostra come gli bastasse uscire di casa (abitava nel Lower East Side) ed entro un quarto d’ora conosceva qualcuno con cui fare sesso. Per non dire della promiscuità (possibile solo prima dell’AIDS). Si imparano tutti i posti nascosti dove due uomini potevano incontrarsi e fare sesso all’epoca.

Le esplorazioni sessuali non vengono raccontate solo per il gusto di farlo, ma sono fortemente connesse con l’esplorazione della struttura sociale, sessuale e razziale degli Stati Uniti. Il sesso è una lente di ingrandimento che Delany usa per investigare la società americana.

"Whether male, female, working or middle class, the first direct sense of political power comes from apprehension of massed bodies. That I'd felt it and was frightened by it means that others had felt it too. The myth said we, as isolated perverts, were only beings of desire, manifestations of the subject (yes, gone awry, turned from it's true object, but for all that, even more purely subjective)"

Come tale The Motion… è un testo fortemente politico (viene proposto come lettura nei corsi di Gender Studies e simili). In ospedale durante una sessione di gruppo, Delany confessa di essere gay, e per farlo usa il linguaggio socialmente accettato dell’epoca per farlo, in tono vergognoso, chiedendo scusa e promettendo che sarebbe guarito.


Solo dopo essere tornato a casa si rende conto che ha usato il linguaggio di altri per condannare qualcosa in cui vedeva niente di male. L’esplorazione della sessualità e della società vanno quindi per Delany di pari passo con quella del linguaggio.

“When you talk about something openly for the first time—and that, certainly, was the first time I’d talked to a public group about being gay—for better or worse, you use the public language you’ve been given. It’s only later, alone in the night, that maybe, if you’re a writer, you ask yourself how closely that language reflects your experience. And that night I realized that language had done nothing but betray me.”

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