mercoledì 27 gennaio 2021

88 Names: come vivere nei videogiochi ed essere felici

Possiamo definire 88 Names di Matt Ruff la versione seria e adulta di Ready Player One, dove per “seria e adulta” intendo che non ci sono: la nostalgia degli anni 80, i videogiochi come rifugio da un futuro distopico, il destino del mondo come posta in gioco. 88 Names è un thriller ambientato nei videogiochi di un futuro molto vicino, e usa le dinamiche dei gameplay per parlare di identità, genere, tecnologia e vita digitale.

John Chu is a “sherpa”—a paid guide to online role-playing games like the popular Call to Wizardry. For a fee, he and his crew will provide you with a top-flight character equipped with the best weapons and armor, and take you dragon-slaying in the Realms of Asgarth, hunting rogue starships in the Alpha Sector, or battling hordes of undead in the zombie apocalypse.

Chu’s new client, the pseudonymous Mr. Jones, claims to be a “wealthy, famous person” with powerful enemies, and he’s offering a ridiculous amount of money for a comprehensive tour of the world of virtual-reality gaming. For Chu, this is a dream assignment, but as the tour gets underway, he begins to suspect that Mr. Jones is really North Korean dictator Kim Jong-un, whose interest in VR gaming has more to do with power than entertainment. As if that weren’t enough to deal with, Chu also has to worry about “Ms. Pang,” who may or may not be an agent of the People’s Republic of China, and his angry ex-girlfriend, Darla Jean Covington, who isn’t the type to let an international intrigue get in the way of her own plans for revenge.

What begins as a whirlwind online adventure soon spills over into the real world. Now Chu must use every trick and resource at his disposal to stay one step ahead—because in real life, there is no reset button.

Tre quarti del romanzo sono ambientati nei “more pigs” (MMORPG) giocati dal protagonista, il cui lavoro è fare da guida nei mondi virtuali a giocatori che non hanno la pazienza, il tempo o la voglia di passare ore a livellare i loro personaggi virtuali. La sua cerchia di amici e colleghi (ha una gilda che fornisce servizi sherpa) è esclusivamente online e in realtà virtuale avvengono anche i rapporti con i suoi genitori.

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, una vita interamente online non viene presentata come penosa o triste. John Chu ha tutta la nostra simpatia, e riesce a gestire i rapporti umani in maniera abbastanza, beh, umana, nonostante l’interfaccia della realtà virtuale. Ma questo ormai, dopo un anno di isolamento, dovremmo riuscire a farlo tutti, vero?

Vero?

L’autore usa abbondantemente il linguaggio dei giochi di ruolo (tank, dps, etc…) e questo potrebbe respingere chi non è abituato ai “more pigs”, ma c’è un’intera appendice di spiegazione e ogni capitolo inizia con la definizione di un lemma inerente non solo i videogiochi ma anche i problemi relativi a un mondo futuro sempre online.

Questo romanzo è anche un buon punto per riflettere sul concetto di “realtà virtuale”. Senza snocciolare lunghi elenchi di opere ambientate in una realtà virtuale, prendiamo in considerazione alcune opere caposaldo. Il Neuromante (1984, William Gibson), Snow Crash (1992, Neal Stephenson), Matrix (1999, Sorelle Wachowski). Mettendo queste tre opere (e aggiungendo poi 88 Names) possiamo quasi tracciare una rotta della rappresentazione della realtà virtuale e di chi la usa nel corso dei decenni.

Il cyberspazio del Neuromante era una rappresentazione soggettiva di una serie di database, mantenuti dalle megacorp, ai quali il protagonista accedeva in maniera criminale. Solo otto anni dopo (e con la diffusione di internet e dei pc) il Metaverso è già diventato una rappresentazione oggettiva (ovvero comune a tutti gli utenti), realizzata da una singola compagnia. Qui il protagonista è uno dei creatori del Metaverso e come tale ha accesso a funzioni e possibilità proibite agli altri utenti. Con un salto di otto anni arriviamo alla Matrix dell’omonimo film. Questa realtà virtuale è stata creata per intrappolare gli esseri umani, ma mantiene caratteristiche di oggettività. Il protagonista è un hacker che scopre di essere l’eletto e di poter (semplificando il discorso) piegare la simulazione alla sua volontà. Viene in pratica riassunto l’intero percorso dal cyberspazio al metaverso (e da Case a Hiro Protagonist).

L’intero percorso è chiaro: è la storia della nostra relazione con l’Internet, o, per essere più precisi, la storia del nostro interfacciarci con il mondo informatico. E 88 Names, venti anni dopo Matrix, in epoca di fake news, TikTok e, ovviamente, mondi virtuali persistenti, porta avanti questo discorso. I mondi alternativi sono realizzati da diverse compagnie private, ma gli utenti possono passare dall’uno all’altro senza staccarsi dal computer. Il protagonista vive di videogiochi (anche se certe attività di sherpa sono considerate violazioni dell’EULA), ma vediamo che riesce a cavarsela molto bene anche nel mondo reale.

88 Names ci mostra quindi un mondo dove virtuale e reale sono adiacenti e intersecanti e, soprattutto, non in lotta tra loro.

Il libro non mi risulta che sia stato ancora tradotti in italiano, ma l’autore Matt Ruff è abbastanza tradotto in Italia e con l'adattamento televisivo di Lovecraft Country spero stia ricevendo attenzione da parte degli editori.

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