Milano di Merda di Alessandro Kresta Pedretta: vita da drogati a Milano, fine anni ’90. Qualche anno prima (andavo alle medie) abbiamo fatto una serie di incontri con varie autorità sul tema della tossicodipendenza. Avrebbero dovuto farci leggere questo libro, piuttosto - avrebbe salvato forse la vita a un paio di compagni di classe.
Quello che mi ha colpito è la quantità di tempo che questi drogati passano all’aperto. Probabilmente voi siete più smaliziati di me e non trovate la cosa strana, ma io non ci avevo mai pensato.
È una vita di strada vissuta tra gli edifici, o negli interstizi urbani dimenticati (la scala di un accesso al metro chiuso, una panchina in una parco, un tratto di terreno abbandonato). Risulta una geografia di Milano al contrario, un negativo con i vuoti riempiti di attesa (e l’autore mette subito in chiaro che il lavoro del drogato è quello di attendere) e i pieni inaccessibili, o solo sagome viste da lontano.
C’è questo aneddoto su due spiagge di un’isola delle Hawaii, una sulla quale si spiaggiano i cadaveri annegati delle persone ricche e un’altra sulla quale arrivano i corpi dei poveri. Ricchi e poveri hanno masse diverse e le maree setacciano e separano per peso i corpi.
Questo aneddoto mi è venuto in mente leggendo come Milano, setaccia e filtra le persone, e che ci sono sempre dei “punti di calma” dove il tossicodipendente ritorna, periodicamente.
La città come filtro: e l’autore ci mostra l’immagine di un asfalto (interfaccia tra il mondo di sopra e il sottosuolo, ma simbolo che rimanda ad altre interfacce sociali e culturali) che assorbe sudore, lacrime, sangue, escrementi, piscio dai suoi abitanti, dove nessun dolore va perduto e nessuna degradazione viene dimenticata.