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mercoledì 2 dicembre 2015

Scipio Slataper (14 luglio 1888 - 3 dicembre 1915)

"Il monte Kal è una pietraia. Ma io sto bene su lui. Il mio cappotto aderisce sui sassi come carne su bragia; e se premo, egli non cede: sí le mie mani s'incavano contro i suoi spigoli che vogliono congiungersi con le mie ossa. Io sono come te freddo e nudo, fratello. Sono solo e infecondo. 

Fratello, su di te passa il sole e il polline, ma tu non fiorisci. E il ghiaccio ti spacca in solchi dritti la pelle, e non sanguini; e non esprimi una pianta per trattenere le nuvole primaverili che sfiorandoti passano oltre e vanno laggiú. Ma l'aria ti abbraccia e ti gravita come grossa coperta su maschio che aspetti invano l'amante.

Immobile. La bora aguzza di schegge mi frusta e mi strappa le orecchie. Ho i capelli come aghi di ginepro, e gli occhi sanguinosi e la bocca arida si spalancano in una risata. Bella è la bora. È il tuo respiro, fratello gigante. Dilati rabbioso il tuo fiato nello spazio e i tronchi si squarciano dalla terra e il mare, gonfiato dalle profondità, si rovescia mostruoso contro il cielo. Scricchia e turbina la città quando tu disfreni la tua rauca anima. Fratello, con la tua grande anima io voglio scendere laggiú. Perdonami, s'io balzo su come tu non puoi e t'abbandono. È come se d'improvviso una fonte t'infertilisse sgorgandoti dentro il cuore. Gorgoglia e fiotta la nostalgia irrequieta. Ho desiderio d'andare, fratello. Ho desiderio di possedere grandi campi di frumento e prati ombrosi. La patria è laggiú. Bisogna ch'io sia fratello d'altre creature che tu non conosci, che io non conosco, monte Kâl, ma vivono unite laggiú dove calano le nuvole turgide di piova. Anni giovani, che vi spalancate tremando come corolle di violette nella neve, dove volete gioiosi portarmi? Alzo le braccia e le riabbasso freneticamente come se avessi ali, e a ogni colpo i miei denti aggrappassero materia piú leggera e tanto diafana che l'anima mi si spandesse a formar l'alba d'una nuova vita. E sbalzo sul suolo, ripercosso dallo stesso monte che mi comprende e m'aiuta. Calo giú.

La bora mi schiaffa a ondate nella schiena e piombo, torrentaccio. I sassi voltolano e rotolano rombando. Ogni passo è nuovo, ché se il piede trova traccia si storce e stracolla. Giú. Il petto rompe a sperone l'aria. Giú, scivolando: un volo fino al ramo prossimo, al ciuffo d'erba che - un dito toccandolo - mi tiene in piedi. Scatta il sasso in bilico per buttarmi a rovina, s'apre in dirupo la terra per accogliermi sfragellato; ma le mie gambe sono dure e flessibili."

Da Il Mio Carso


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