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giovedì 30 gennaio 2014

Operazione Tifone: mini recensione


Nelle fredde e desolate notti invernali finlandesi non resta molto da fare se non leggere. O bere birra. Questa sera ho scelto la lettura: Operazione Tifone di Diego Bortolozzo.


Il racconto è ambientato durante una Seconda Guerra Mondiale alternativa, dove le armi e i mezzi delle truppe sono alimentati da caldaie a vapore. Si seguono le vicende del colonnello Claus Schenk von Stauffenberg, durante la campagna di Russia prima e in Germania poi. Von Stauffenberg, torturato dalle SS per aver fallito la conquista della Russia, decide di organizzare un attentato contro il Fuhrer.

Von Stauffenberg è un personaggio realmente esistito, era la mente dietro l’Operazione Valchiria che avrebbe dovuto eliminare Hitler nel 1944. È quello interpretato da Tom Cruise nel film Operazione Valchiria, per intenderci.

È quel von Stauffenberg che gli sceneggiatori del film hanno dovuto ridimensionare, perché se avessero riportato fedelmente quanto tosto era, gli spettatori non avrebbero preso seriamente il personaggio. Non è quindi uno facile da gestire.

E forse la pecca maggiore del racconto sta nel non essere entrati nel vivo di un simile personaggio e nell’averlo sfruttato appieno.

Quello che invece si apprezza molto del racconto è la narrazione degli scontri, che son ben inquadrati sia a livello di truppa sia negli esiti generali della guerra. Il Bortolozzo passa con disinvoltura dalla narrazione delle gesta dei singoli soldati al quadro generale internazionale, mantenendo sempre alto l’interesse.

Giudizio: buono, ma avrebbe meritato una lunghezza e un approfondimento maggiore.

venerdì 24 gennaio 2014

I Robot di La Marmora: piccola recensione

Dopo Punto Nemo di Domenico Attianese, recensiamo oggi un altro racconto di un autore autoprodotto, I Robotdi La Marmora di Alessandro Girola, storia appartenente al progetto narrativo Risorgimento di Tenebra.
La storia è ambientata in un 1800 alternativo nel quale l’umanità è entrata in contatto con gli alieni. I Nekton, precipitati sulla Terra nel 1864, si sono divisi in due fazioni: quella del Gene Sovrano alleata degli Asburgo, mentre la fazione (minoritaria) della Meccanica Evolutiva decise di sostenere il neonato Regno d’Italia.

Premetto subito che io, essendo delle Vecchie Province, tifo automaticamente per gli Asburgo, mentre i protagonisti del racconto sono degli eroi di guerra italiani. Vi dò però la mia parola che questo non ha influenzato la recensione. Sul serio.
Protagonisti del racconto sono, come dicevo, degli eroi italiani, piloti di Giganti da combattimento, costruiti usando le avanzate conoscenze Nekton, e impegnati contro gli orrori genetici messi in campo dagli austriaci (mi domando come mai ogni minimo risultato di ingegneria genetica viene sempre additato come un orrore, soprattutto se a farlo sono i nemici, ma non è questo il luogo di discussione).

Non aggiungo altro sulla trama (se vi interessa, leggetevelo), dico solo che c’è un’emozionante battaglia a bordo di una balena-dirigibile, vari misteri irrisolti e tanta azione. I personaggi non brillano per profondità, ma nello spazio breve del racconto si è preferito dare spazio all'azione.

L’autore dichiara subito qual è l’immaginario dal quale ha preso ispirazione: i cartoni animati di robotoni giganti, il film Pacific Rim e il Ciclo dell’Invasione del Turtledove. Pare dimenticarsi di citare Leviathan di Scott Westerfeld nel quale senza paura è andato a cacciare e riportare indietro la balena volante e le fazioni in gioco (biologia vs meccanica). Ma non gliene faccio una colpa, lo steampunk vive di questi “prestiti”.

È una colpa molto più grave aver messo gli Asburgo come cattivi… ma questo non influenza la recensione, ovvio.

Mi sono trovato un po’ male con la descrizione dei robot. Dovrebbero rubare la scena a… tutto il resto, eppure sono poco descritti e non ci si riesce a fare un’idea della loro estetica. Sono automi ottocenteschi con rivetti, molle e ingranaggi? Sono robotoni cromati in pieno stile dieselpunk? Sono costrutti ipertecnologici alieni? Sono tutte queste cose assieme? E dove finisce una cosa e comincia l’altra? Penso che se qualcuno mette assieme, sia ingegneristicamente che letterariamente, due culture (e quindi due stili, estetiche, tecnologie) aliene tra di loro, allora la cosa si deve vedere nel racconto, si devono vedere i punti di sutura tra le diverse tecnologie. Per come vengono descritti, i robot del Girola potrebbero trovare posto in qualsiasi epoca, e per tanto risultano abbastanza anonimi.

Purtroppo.



domenica 19 gennaio 2014

Punto Nemo: Nautilus avanti a tutto Cthulhu!

Il Capitano Nemo, a bordo del suo Nautilus, raggiunge Providence allo scopo di impedire l’arrivo dei Grandi Antichi nel nostro mondo.

E già per solo per aver messo nella stessa storia Verne e Lovecraft, merita interessarsi al racconto Punto Nemo scritto (e autopubblicato) da Domenico Attianese. Se non altro per vedere come vengono messi assieme due universi narrativi, entrambi capostipiti di interi generi letterari (Verne per lo steampunk) o di mitologie horror (Loveraft).

Qualcosa del genere...

Poi uno legge il racconto, e lo scenario appare chiaro.

Punto Nemo è ambientato ai giorni nostri (o forse in un futuro molto vicino), il Capitano Nemo è il discendente del primo comandante del Nautilus e appare anche un erede del nostro Howard P. Lovecraft.
Niente XIX secolo o retrofuturismo, quindi, anche se l’autore nell’introduzione dice di aver dato una spruzzata di steampunk alla storia… ma deve essere stata una cosa molto leggera perché non si nota nemmeno.

Il problema principale di questo racconto è che i Grandi Antichi, e i mostri dagoniti che li venerano, non fanno per niente paura. Nello stesso momento in cui i protagonisti vanno in giro a sparare ai mostri lovecraftiani si perdere completamente il senso di orrore cosmico che dovrebbe accompagnare simili creature, rendendole troppo concrete. Non è una colpa dell’autore, che comunque si propone con una scrittura scorrevole, anche se talvolta appesantita da metafore un po’ barocche. È proprio colpa di Cthulhu&company, che ormai stanno iniziando a perdere la loro carica orrorifica.

Anche perché, diciamoci la verità, dal momento che vediamo questo:


Cthulhu non può più fare paura.

È lo stesso fenomeno che in passato aveva colpito Babbo Natale. La creatura originale delle tradizioni nordiche era un mostro che divorava vivi i bambini cattivi… e nel corso dei secoli si è trasformato in un ciccione vestito di rosso che fa la pubblicità alla Coca-Cola.



Cose che capitano.

Consiglio comunque questo agile racconto a chi non vuole perdersi nulla dei miti Lovecraftiani, o a chi come me piacciono questi mash-up letterari. Non è steampunk, sia ben chiaro, ma lo spirito è quello.

lunedì 6 gennaio 2014

I Senza-Tempo: recensione

Qualche mese fa ho postato su Facebook, sotto forma di Nota, la seguente recensione di I Senza-Tempo di Alessandro Forlani, che riporto qui con qualche legger correzione. I Senza-Tempo non è un romanzo propriamente Steampunk, ma interessante per la maniera con la quale tratta il tema del Passato.
Monostatos è un Senza-Tempo, negromante capace di piegare e modificare il Tempo a sua volontà. Dopo aver dormito per secoli, si risveglia nello scantinato di una scuola e inizia a nutrirsi degli scolaretti ivi presenti. Solo tre di loro si salvano, il biondo Rommel, in nerd Daniele e Nausicaa. Nel resto del romanzo seguiamo a distanza di decenni la piega che ha preso la vita dei tre superstiti, e il loro incontro finale con Monostatos.

Seguono spoilers.

Le vicende dei quattro personaggi principali (oltre ai tre superstiti c'è anche una fotografa di guerra che ha fatto carriera documentando la strage alla scuola), assieme a quelle di una manciata di comprimari, sono sufficienti per toccare un buon numero di tematiche, dalla rapacità dei giornalisti ai giovani disoccupati passando per il voyeurismo e il destino dell’università. Forse anche troppo per un romanzo solo, e infatti talvolta sorge la curiosità (non soddisfatta) di approfondire certe tematiche.

Non nascondo che tifavo per Monostatos. Sebbene sia “brutto, sporco e cattivo”, almeno è puro, nel senso che non è stato contaminato dal mondo moderno, come lo sono state le vite dei tre superstiti o gli altri senza-tempo. A modo suo è portatore coerente di un’estetica e di uno stile di vita che prevalgono su quelli moderni, o meglio sulla loro assenza. Non che faccia molto, a parte mangiare e defecare: il suo unico interesse è vivere, consumando i giovani e le risorse energetiche del mondo, ma siamo forse noi, come società, diversi?

Il modo in cui Monostatos distorce la realtà trasformando gli oggetti nelle loro versioni storiche precedenti si avvicina alla riflessione steampunk sulla tecnologia moderna, vista come semplice cosmetica applicata a strumenti i cui usi sono alla fine sempre gli stessi e decisi sempre dalle stesse persone.

Veniamo alle note negative.
Il romanzo è breve. Non mi faccio ingannare dal fatto che racconti precedenti dell’autore sono stati retconnessi con I Senza-Tempo: il romanzo finisce appena a pagina 119, seguito da altri racconti dell’autore (e da altri due racconti di altri autori).

Le atrocità commesse da Monostatos sono numerose, ma non hanno un grande impatto sul lettore; ad esempio, Monostatos spezza il collo di una bambina e la cosa viene risolta con una riga abbastanza neutra. Le sue vittime vanno e vengono tanto rapidamente e muoiono in maniera talmente anonima che non c’è tempo per sviluppare alcuna empatia con loro. Uno dei protagonisti muore e sincerante non ne ho sentito la minima mancanza né il minimo dispiacere.
E, infine, certe scene d’azione (tipo l’assalto degli archiburoboti a Rommel) mi sono sembrate troppo statiche. Sarà questione di gusti.

È fantascienza? Secondo me no, anche se probabilmente nelle pieghe della fisica quantistica e tra i groppi delle superstringhe si trova qualcosa che possa giustificare l’esistenza di un Senza-Tempo. Il fatto, ribadito dall’autore, che la fisica moderna abbia molto in comune con l’antica negromanzia ci riporta al concetto che grattando la superficie del mondo moderno, le idee del passato (e i suoi personaggi) saltano sempre fuori. Di solito a questo punto la gente inizia a parlare della crisi della fantascienza moderna e a lamentarsi della pubblicazione di questo romanzo su Urania. Io, più modestamente, alzo le spalle e me ne frego. In fondo i costrutti cadaverici di Monostatos non sono più improbabili di AI post-umane o cunicoli spaziali, però almeno sono molto più fighi da vedere.
Fin qui la mia nota/recensione. Su internet l'autore ne deve aver lette di peggiori, tanto da aver pubblicato sul suo blog un post dal titolo "I Senza-Tempo": argomenti civili, allo scopo di affrontare alcune critiche riguardanti supposti elementi filonazisti presenti nel romanzo.

Il post e la breve discussione che ne è seguita sul blog sono abbastanza interessanti e ve ne consiglio la lettura.

Nello stesso post l'autore mi ha anche bacchettato:
 Qualcuno in questa scelta ha interpretato una resa, l’affermazione di una sconfitta: la "gioventù che da sola non può farcela", piuttosto, è Daniele; colpevole per tutto il romanzo di un odioso menefreghismo (perciò l'ho condannato alla mannaia dei Senza-Tempo, e ho scelto di raccontarne la morte con la beckettiana indifferenza per la dipartita di Nagg in Finale di Partita - questo a chi ha osservato che “… le vittime di Monostatos vanno e vengono tanto rapidamente, e muoiono in maniera talmente anonima, che non c’è tempo per sviluppare alcuna empatia con loro. Uno dei protagonisti muore e sinceramente non ne ho sentito la minima mancanza né il minimo dispiacere…”).
Piuttosto mi è piaciuto leggere, nel saggio Com'è facile scrivere difficile dello stesso Forlani, queste righe dedicate al tema del cattivo, dove viene citato Monostatos per il quale, come avevo già detto, ho tifato per tutto il romanzo:
Attenzione ad un errore che commettono tutti (al punto che non si sa, se è davvero un errore): molto spesso l'Antagonista ci riesce di tale fascino, forza e carattere da oscurare l'Eroe e i valori che rappresenta, e i temi “positivi” che gli abbiamo affidato.
Sono convinto che i fan di Darth Vader surclassino in numero quelli di Skywalker (intendo: se non sapessimo dei precedenti...); per Cthulhu, alle elezioni politiche, sarebbe un plebiscito. A volte il pericolo non è solo “artistico”: in una recensione ai Senza -Tempo, nell'aprile 2013, il blogger Iguana Joe mi avvertiva di questo fatto:
Monostatos è tanto figo, troppo probabilmente; tanto che ruba la scena a quello che mi è parso di capire fosse il cuore “politico” del romanzo.
D'altra parte è molto meglio correre questo rischio che scrivere di Antagonisti che risultino macchiette.

sabato 4 gennaio 2014

A Conspiracy of Alchemists: recensione

Come promesso un po' di tempo fa, ecco una mia breve recensione del romanzo A Conspiracy of Alchemists di Liesel Schwarz, primo volume de "The Chronicles of Light and Shadow".

La protagonista di questo primo romanzo della scrittrice è Eleanor Chance, giovane donna e unica pilota di dirigibile del gentil sesso, le cui avventure sono ambientate in un inizio XX secolo alternativo. Nel mondo di Eleanor (Elle per gli amici e per noi lettori), infatti, assieme agli esseri umani convivono creature magiche appartenenti all'Ombra.

La trama in breve:
Elle viene incaricata da Marsh Greychester di trasportare un misterioso oggetto da Parigi all'Inghilterra, missione nella quale fallisce in quanto l'oggetto le viene sottratto dall'alchimista Sir Eustace Abercrombie. Suo padre viene poi rapito e lei si mette alla sua ricerca assieme a Marsh, che investiga su una misteriosa congiura di alchimisti. I due fanno una romantica tappa a Venezia e finiscono a Istanbul per lo scontro finale con il cattivo di turno.

Non è il mio riassunto della trama a essere confuso, è proprio fatta così la storia.

L'autrice sembra divertirsi a tirare fuori quanti più elementi possibile, in una continua invenzione di situazioni e personaggi che dovrebbe meravigliare il lettore ma che alla lunga lo sfinisce. Tutti gli elementi vengono presentati per il tempo necessario richiesto dalla trama, per poi sparire nel dimenticatoio, senza la minima elaborazione di come potrebbe veramente essere un mondo contenente tutte quegli elementi soprannaturali. Scienziati, alchimisti, fate, templari, vampiri, viaggio onirici, elfi, e quant'altro la fantasia dell'autrice ha deciso di mettere dentro. L'Ombra è uno scatolone dentro il quale la Schwarz mette un po' di tutto: i cattivi, creature fatate, cattive abitudini quali il fumo e l'alcol (veramente). Non necessariamente cose negative, ma anche solo misteriose o anomali, lasciando perplesso il lettore su cosa effettivamente essa sia.

La protagonista è forse quello che funziona meno di tutto. Dovrebbe essere una vera dura, ma si comporta come un'adolescente capricciosa e testarda, che passa come niente dalle lacrime alla gioia.
Gli eventi semplicemente accadono attorno a lei. È un personaggio chiave: è un Oracolo, è figlia dell'inventore del primo girocottero, è un'aviatrice. Purtroppo il personaggio non viene determinato da quello che fa, ma da quello che le succede. Marsh Greychester invece non è nulla di più di un James Bond seduttore. Il rapporto tra i due va avanti con sentimenti altalenanti, ma finisce in maniera estremamente prevedibile.

Mentre i protagonisti sollevano alcune perplessità, va detto che i personaggi più riusciti sono quelli secondari: uno stregone e il suo negozio di cose strane, una vampira che va in vacanza sui Carpazi, una strega che si nutre della gioventù altrui, un satiro che con la sua famiglia gestisce una casa sicura per personaggi dell'Ombra in fuga. Tramite questi e altri personaggi secondari l'autrice riesce a rendere una certa idea di un mondo nel quale Luce e Ombra convivono fianco a fianco...

Insomma, una lettura che va giù tranquilla come acqua di rubinetto, ma che non riesce a liberarsi dai cliché e da una eccessiva voglia di riempire per forza di cose meravigliose il suo universo narrativo.