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giovedì 20 giugno 2019

Captives of the Flame: radiazioni, giungle, acrobazie e invisibilità.

The Fall of the Towers è una trilogia di romanzi post-apocalittici scritta da Samuel Delany, composta dai volumi Captives of the Flame (1963, rinominato Out of the Dead City nell’edizione del 1968), The Towers of Toron (1964) e City of a Thousand Suns (1965)


Captives of the Flame nella sua prima versione era ambientato nello stesso mondo post-atomico dei Gioielli di Aptor, anche se ogni riferimento è stato eliminato nelle edizioni successive.

Questa trilogia è considerata un Delany minore e viene spesso trascurata. I romanzi non sono l’esordio fulminante dei Gioielli, e nemmeno all’altezza dei capolavori successivi quali Nova o Dhalgren. Perché leggerli, allora? Perché bene o male contengono tutto quello che ha fatto grande Delany. La prosa, i personaggi, il modo in cui intesse la trama.

E qui di trama ne abbiamo. Arrivati a un terzo di Captives l’autore sta ancora introducendo nuovi personaggi; soprattutto sembra divertirsi a prendere i suoi protagonisti e spostarli da un ambiente a loro noto a uno completamente estraneo e vedere cosa succede.

Dopo il Grande Fuoco che ha reso inabitabile la maggior parte del pianeta, la civiltà è rinata sull’isola di Toron, che ha fondato un impero e iniziato a conquistare e colonizzare la terraferma, fermandosi al confine con la zona radioattiva, dove è stata fondata la città (poi abbandonata) di Telphar.

Il governo di Toromon percepisce la presenza di un nemico oltre la zona proibita e dichiara guerra. Non si sa esattamente contro chi, l’importante è mobilitare la popolazione e dimenticare i problemi di disoccupazione. Intanto, si viene a sapere che la guerra di Toron è solo un aspetto di una guerra tra creature cosmiche interdimensionali.

E questo è solo il primo romanzo.

È interessante rileggerlo adesso, a distanza di 50 anni, e trovarvi preoccupazioni così attuali: l’immigrazione, la disoccupazione, il ruolo della guerra come strumento di controllo sociale interno, l’influenza della tecnologia sulla società.

La trama è quella di un romanzo pulp dell’epoca, qualcosa preso da John Carter per esempio. Le descrizioni sono poetiche ma forse un po’ confuse e non trasmettono la grandezza delle idee dell’autore. C’è pochissima azione, molti dialoghi tra i personaggi; il buon Delany questa volta non è riuscito ad amalgamare bene tutti gli elementi. La storia procede in equilibrio: da un lato continui misteri e la sensazione perenne che ci sia sempre qualcos’altro che ci viene nascosto, dall’altro non c’è mai tanta confusione di trama e personaggi da voler abbandonare la lettura.

La storia è post-apocalitica, decisamente fantascientifica, ma in un setting fantasy – e l’autore si diverte giocare con i cliché di tutti e tre questi generi. Uno degli elementi più interessanti è il messaggio pacifista di Delany. La guerra dell’Impero di Toromon è inutile, è ridicola. È collegata a motivi politici interni: in un’economia basata sulla pesca, la creazione di vasche per la crescita del pesce porta a un aumento della disoccupazione. E la guerra serve proprio per far fare qualcosa a questi disoccupati.

"Because," interrupted Geryn, suddenly pointing directly at Tel's face, "we have to fight. Toromon has gotten into a situation where its excesses must be channelled toward something external. Our science has outrun our economics. Our laws have become stricter, and we say it is to stop the rising lawlessness. But it is to supply workers for the mines that the laws tighten, workers who will dig more tetron, that more citizens shall be jobless, and must therefore become lawless to survive. Ten years ago, before the aquariums, fish was five times its present price. There was perhaps four per cent unemployment in Toron. Today the prices of fish are a fifth of what they were, yet unemployment has reached twenty-five per cent of the city's populace. A quarter of our people starve. More arrive every day. What will we do with them? We will use them to fight a war. Our university turns out scientists whose science we can not use lest it put more people out of work. What will we do with them? We will use them to fight a war. Eventually the mines will flood us with tetron, too much for even the aquariums and the hydroponic gardens. It will be used for the war."
"Then what?" asked Tel.
"We do not know who or what we are fighting," repeated Geryn. "We will be fighting ourselves, but we will not know it (…)”

Chi sono i protagonisti principali del romanzo?

Tel, il ragazzino che fugge dal padre pescatore e cerca fortuna nella capitale, dove deve vivere come immigrato clandestino.
Jon Koshar, prigioniero evaso che è in comunicazione con delle entità aliene che lo vogliono usare come pedina contro il terribile Signore delle Fiamme. Dopo un incidente si ritrova a riflettere la luce in maniera anomala, diventando traslucido (è cambiato il suo indice di rifrazione: non dimentichiamo qui il concetto di prisma ottico che ritorna nell’opera dell’autore).
Clea Koshar, sua sorella, esperta matematica.
La Duchessa di Petra, altra pedina contro il Signore delle Fiamme.
Let, fratello del Re di Toromon, che viene sequestrato dai Ribelli e portato a vivere nella Foresta, così che possa imparare la vita fuori dalla Corte. Non è un caso che sia un palindromo di un altro personaggio. Delany adora questo genere di cose (sto guardando proprio te, cara/o Grendahl) e non è l’unico caso nella trilogia.
Alter, acrobata e membro dei Ribelli. Tutte le parti acrobatiche derivano dall’esperienza stessa dell’autore, che al college praticava questa disciplina. Quando dicono “scrivi di ciò che sai”...

C’è anche questa scena, tipicamente Delanyana, dove dei personaggi discutono di narrativa. Il Principe Let si è fatto raccontare, una sera, una storia dalla zia, la Duchessa di Petra. Il giorno dopo chiama la zia per farsi dire la conclusione della storia.

"Well," said Petra, "when the guard changed, and the rope tripped him up when he was coming down the steps, the rear guard ran around to see what had happened, as planned, and they dashed through the searchlight beam, into the forest, and ..." She paused. "Anyway, one of them made it. The other two were caught and killed."
"Huh?" said Let. "Is that all?"
"That's about it," said Petra.
"What do you mean?" Let demanded. Last night's version had contained detail upon detail of the prisoners' treatment, their efforts to dig a tunnel, the precautions they took, along with an uncannily vivid description of the scenery that had made him shiver as though he had been in the leaky, rotten-walled shacks. "You can't just finish it up like that," he exclaimed.
Show, don’t tell sembra dire il piccolo Let.

Il finale (spoiler!) è amaro. Nonostante il nemico alieno, il Signore delle Fiamme, venga sconfitto, la guerra si fa comunque - appunto perché non era istigata dalla presenza di un ostile esterno, ma perché nasce dall’interno dell’Impero. I romanzi successivi approfondiranno questo eccesso, mettendo i soldati in capsule di realtà virtuale dove combattono una guerra finta ma che uccide realmente.
(fine spoiler).


Captives of the Flame è stato pubblicato nella collana Ace Double, in coppia con The Psionic Menace di Keith Woodcott (che in realtà era uno pseudonimo di John Brunner). La versione riscritta nota come Out of the Dead City è stata pubblicata da Signet Book nel 1968. The Towers of Toron è uscito nel 1964 sempre per Ace Double, in coppia con The Lunar Eye di Robert Moore Williams. City of a Thousand Suns è uscito nel 1965 sempre per la Ace Books. Il volume completo The Fall of the Towers è uscito infine nel 1970 (numero 22640 della Ace Double).

Sono usciti tutti e tre in Italia nel 1976. La Città Morta come numero 548 della collana I Libri Pocket della Longanesi, Le Torri di Toron e La Città dei Mille Soli come numeri 1 e 3 nella collana Fantapocket (sempre Longanesi). Tutti i volumi sono stati tradotti da Maria Luisa Cesa Bianchi. Lo stesso anno è uscito anche il volume unico con i tre titoli, La Caduta delle Torri, numero 21 della collana Varia.

L’inizio del romanzo:
The green of beetles' wings ... the red of polished carbuncle ... a web of silver fire. Lightning tore his eyes apart, struck deep inside his body; and he felt his bones split. Before it became pain, it was gone. And he was falling through blue smoke. The smoke was inside him, cool as blown ice. It was getting darker.
He had heard something before, a ... voice: the Lord of the Flames.... Then:
Jon Koshar shook his head, staggered forward, and went down on his knees in white sand. He blinked. He looked up. There were two shadows in front of him.
To his left a tooth of rock jutted from the sand, also casting a double shadow. He felt unreal, light. But the backs of his hands had real dirt on them, his clothes were damp with real sweat, and they clung to his back and sides. He felt immense. But that was because the horizon was so close. Above it, the sky was turquoise—which was odd because the sand was too white for it to be evening. Then he saw the City.

lunedì 10 giugno 2019

Un paio di titoli fantasy


Vi segnalo l'uscita di questi due volumi, i testi sono da parte della Casa Editrice:


L’Era del Serpente è il grande affresco del primordiale dominio dei rettili.

Ambientata in un’epoca remotissima, eoni prima della storia conosciuta, la vicenda si svolge su una Terra che solo da poco ha conosciuto il primo vagito dell’essere umano, e sulla cui superficie domina da sempre la stirpe del Serpente, un’evoluta razza di umanoidi rettili generata in giorni senza nome dal dio Set.

Il racconto si apre con uno sguardo al magniloquente tramonto della civiltà dei Serpenti.

Dopo un apogeo durato millenni, in cui i rettili hanno raggiunto vette meravigliose di sapere arcano e tecnologico, il loro impero si avvia ad una decadenza ormai sempre più rapida, che nulla sembra in grado di fermare.

Assillati dal propagarsi di una degenerazione che ne indebolisce tanto il sangue quanto le menti, i Serpenti sono altresì assediati dal diffondersi sconcertante di esseri a loro sconosciuti, che ne insidiano il regno altrimenti incontrastato: gli uomini.

Altezzosa e sofisticata, irrigidita in rituali e convenzioni che non intende mutare, la pur superiore genia dei rettili non riesce a capacitarsi della comparsa, avvenuta in uno sconosciuto e per essa inospitale deserto polare, della stirpe umana, che agli occhi vitrei dei figli di Set appare tanto barbara quanto disgustosa.

Ciò nonostante, come colpiti da una maledizione, neanche i rutilanti eserciti di guerrieri Nath, l’elite militare del popolo rettile, riescono a fermare l’avanzata delle tribù che calano dal Nord, sciamando sulle rovine di città un tempo gloriose. La fine dei Serpenti pare inevitabile.

Eppure, è proprio al culmine di questo scontro epocale che sale al trono della ciclopica capitale dei rettili, Xyl, il potente sacerdote Salith, ultimo fra i depositari dell’antica scienza e fanatico adoratore di Set. 

Deciso a invertire le sorti del conflitto e salvare i Serpenti dall’annientamento, egli attingerà ai più abominevoli segreti della magia nera, fino a richiamare sulla Terra orrori risalenti alla fondazione del mondo, il tutto mentre attorno a lui, come in una esotica e macabra danza di sortilegi e intrighi, si dipaneranno le storie – contigue e non - del fedele discepolo Kla-lhat, dell’indolente imperatore Ktlàn, e delle figure sanguinarie e brutali dei generali umani, capitanati dall’ambiguo Tholius.

E prima che l’ultima battaglia sia combattuta, anche il mondo stesso attraverserà il suo sconvolgimento finale.



Byzantium è un compendio di racconti in sei parti, scritto da Lorenzo Camerini e Andrea Gualchierotti.

L’opera, a cavallo tra novella storica di cappa e spada e avventura Sword&Sorcery, rivisita in chiave fantastica gli scenari dell’impero bizantino, a partire dai fasti di Costantinopoli fino alle metropoli del vicino Oriente, e unisce ad essi l’accuratezza della ricostruzione storica assieme al gusto per l’esotismo.

I primi tre racconti (I Sette Dormienti – Il trionfo del Magister Militum – Le folgori della vendetta) costituiscono un trittico ambientato nel VI secolo, durante il regno di Giustiniano.

Protagonista di queste avventure è Costante, una guardia imperiale (excubitor) caduta in disgrazia a causa di un intrigo architettato da astuti rivali; ramingo per le varie province dell’impero, ha come unici compagni il desiderio di vendetta e il silenzioso unno Taluk, che lo segue nella via dell’esilio. Lungo la via del suo sanguinoso riscatto, Costante incapperà più volte nel meraviglioso e nel terribile: affronterà una stirpe mostruosa che dorme sotto le dolci colline di Efeso, scoprirà i segreti della Menorah ebraica, e assisterà al ritorno dal passato di divinità dimenticate. E la sua vicenda, che si conclude alle soglie della guerra greco-gotica che investirà l’Italia di lì a poco, rimane aperta, quasi a prefigurare un ritorno del personaggio.

I due racconti successivi (La dèa di carne – I leopardi del deserto) cambiano radicalmente scenario, e hanno per sfondo l’epoca gloriosa di Basilio II, intorno all’anno 1000, in cui dopo secoli di difficoltà l’impero ha messo argine alle invasioni, e recuperato parte delle province orientali, tra cui la Siria. Proprio qui, in una Damasco cosmopolita e caotica, si aggira la coppia di gemelli Gordias e Cosma, ladri persiani avvezzi all’avventura e al raggiro.

Ricercati a causa dell’ennesimo reato, i due fratelli sono costretti a dividersi: un errore fatale, che finisce per invischiare i due nella trama di misteriosi omicidi rituali che insanguina Damasco, e che ha le sue radici addirittura nell’avvento in Siria della sanguinaria dèa Khalì. Solo uno dei due fratelli – Gordias – sopravviverà all’incontro terribile con la divinità indù, senza sapere di stare così compiendo il primo passo sulla via che nel racconto seguente (I leopardi del deserto) lo vedrà combattere per le strade di Antiochia e sui monti sperduti dell’Armenia per il titolo di Maestro degli Assassini.

Il finale dell’opera (Il Palladio di Costantinopoli) è dedicato alla caduta della gloriosa capitale bizantina.

Nel maggio del 1453 le armate turche, spropositatamente grandi, sono sul punto di prendere la città, difesa ormai da milizie sempre più evanescenti e solo pochi sognano ancora una improbabile vittoria. Fra questi, il nobile veneziano Gualtiero Camerari, che riceve dallo stesso imperatore Costantino XI Paleologo il compito di recuperare l’unico oggetto che incarna l’ultima speranza di Bisanzio: il Palladio, la mitica statua di Atena. Sepolta ai tempi della fondazione di Costantinopoli proprio al centro dell’antico foro cittadino, la reliquia pagana ha garantito per secoli la salvezza della città, proprio come aveva fatto per Roma prima della sua caduta. Così, mentre tutto intorno la guerra divampa e i nemici sono prossimi a penetrare le difese bizantine, Gualtiero viene impegnato in una corsa folle per raggiungere il nascondiglio dove giace la statua della dèa, ed evitare l’incombente rovina. Ma un traditore è nascosto fra gli ultimi servi dell’imperatore, e come la storia insegna, il valore di Gualtiero non sarà sufficiente a salvare Costantinopoli dai Turchi; cosciente di non poter piegare il destino, il veneziano si unirà così all’imperatore in un ultimo combattimento che li consegnerà alla leggenda.

Il volume presenta anche i saggi di Adriano Monti Buzzetti e Francesco La Manno.





giovedì 6 giugno 2019

I Gioielli di Aptor

I Gioielli di Aptor è la prima opera pubblicata da Samuel R. Delany, che nel corso della sua carriera vincerà 4 Premi Nebula e 2 Premi Hugo.

Studioso di matematica e letteratura, di colore, bisessuale, dislessico, scrittore di fantascienza, fantasy e saggi sul rapporto tra sessualità e società: non potevo che innamorarmi di una persona così. E dovrebbero bastare questi brevi appunti per capire che le sue storie propongono un punto di vista molto particolare e che sono una voce interessante da ascoltare nel panorama della letteratura di genere.

Assieme alla trilogia della Caduta delle Torri (1963-1965), The Jewels of Aptor fa parte della prima fase della sua carriera. , costituita da storie abbastanza convenzionali ma alle quali riesce a dare un twist personale e molto promettente.

Questo romanzo è uno science fantasy ambientato in una terra del lontano futuro, dove la tecnologia del passato è diventata magia.

L’unica civiltà sembra essere quella di Leptar, sede del culto della Dea Argo, alla quale si contrappone l’Isola di Aptor dove vivono i mostri (hic sunt leones) e si venera il nero Dio Hama.

Il protagonista è Geo, un poeta, che viene coinvolto assieme al suo forzuto amico Urson in un’avventura che lo porta sull'Isola di Aptor per rubare un potente Gioiello e liberare l’Incarnazione della Dea.

Li accompagnano nell'avventura il ladro Serpe, ragazzo dalle quattro braccia e dai poteri telepatici, e Iimmi, il marinaio che in passato era già stato ad Aptor in una precedente sfortunata spedizione.

Detta così la trama potrebbe sembrare banale, ma ben presto scopriamo che le cose non sono come sembrano. Non c’è una sola Dea Argo, ma ben tre (la giovane, la madre e la vecchia) ognuna con obiettivi diversi. E le adepte della Dea sembrano avere piani tutti loro.

La donzella in pericolo da salvare non è così in pericolo e riesce benissimo a salvarsela da sola, rubare il Gioiello e fuggire senza quasi alcun aiuto da parte dei nostri avventurieri.

Può non sembrare granché, ma in confronto alla media degli anni ’60 Delany era all'avanguardia, un passo davanti a tutti.

Trovo impressionante che Delany abbia scritto questo romanzo a soli venti anni. Le due isole, le due divinità, la dea dai tre volti, il viaggio in mare: viene qui mostrata una maturità e una conoscenza dei miti narrativi che non ho trovato nemmeno in autori molto più maturi. Ma nonostante tutto, l’azione non manca. I nostri incontrano vari tipi di mostri (lupi mannari, uomini-pipistrello, antiche creature marine) e attraversano una città abitata da un mostro di gelatina che agisce muovendo gli scheletri delle persone cha ha assimilato.

Si possono già identificare alcuni degli elementi che diventeranno caratteristici dell’opera di questo autore.

Il poeta come protagonista è una cosa che ritroveremo in opere successive, assieme alla figura del ladro: Delany ha sempre sostenuto che poeti e criminali hanno molto in comune, perché entrambi sono persone che vivono ai confini della società.

La coppia con l’intellettuale basso e magro e l’amico alto e muscoloso. La loro amicizia si scoprirà essere amore, ma troppo tardi, perché uno dei due è destinato a morire.

Un’altra categoria di persone che vivono ai margini della società sono i disabili: anche qui Delany rompe più di qualche schema amputando un braccio al suo protagonista e lasciandolo monco per l’ultimo terzo della storia. E non c’è nessun miracolo o tecnologia che possa riparare al danno: Geo resterà un disabile per il resto della sua vita.

C’è un personaggio di colore, Iimmi, ma sfida tutti i cliché di quegli anni: è colto (si è preso un anno sabbatico dall'università per girare il mondo) e non muore (anzi il primo a morire è un bianco di nome Whitey, LOL).

Altro tema caro all'autore è l’interpretazione del testo. Nei Gioielli di Aptor appaiono prima una poesia appartenente ai Riti di Argo (o di Hama? Non ricordo bene) ma ogni volta che viene letta o recitata alcuni versi sono cambiati, perché censurati o ricordati male. C’è anche una profezia, e nel corso del romanzo vengono proposte ben due soluzioni all’enigma che rappresenta.

Per non dire dell’interpretazione delle stesse avventure dei protagonisti, indecisi sul perché certe cose accadano, sul loro motivo e significato.

C’è una soluzione agli enigmi? Qualcosa viene lasciato all'intuizione del lettore, qualcos'altro viene spiegato esplicitamente alla fine; ma solo perché una risposta è quella finale non significa che sia quella corretta o definitiva. 

Delany è un piacere da leggere, sia in originale che tradotto. Come già detto l’autore ha più volte dichiarato di essere dislessico, e che questo lo porta a riscrivere numerose volte ogni singola pagina. Quella di Delany è un scrittura ricercata, a volte può essere di difficile comprensione: in questi casi però abbandonarsi al flussi di parole, immagini, sensazioni e colori è la cosa migliore da fare. Eccovi un piccolo assaggio tratto dall'inizio del romanzo.

Waves flung themselves at the blue evening. Low light burned on the wet hulks of ships that slipped by mossy pilings into the docks as water sloshed at the rotten stone embankment of the city.
Gangplanks, chained from wooden pullies, scraped into place on concrete blocks, and the crew, after the slow captain and the tall mate, descended raffishly along the wooden boards which sagged with the pounding of bare feet. In bawling groups,pairs, or singly they howled into the narrow waterfront streets, into the yellow light from open inn doors, the purple shadowed portals leading to dim rooms full of blue smoke and stench of burnt poppies.

The Jewels of Aptor è stato pubblicato per la prima volta dalla Ace Books nella collana Ace Double, assieme al romanzo Second Ending di James White, e per far stare il romanzo nei limiti previsti dalla casa editrice fu tagliato ben un terzo delle pagine. Tagli che vennero reintegrati nell'edizione successiva, del 1968. È uscito in Italia come primo numero della Fantacollana nel 1973 tradotto da Giampaolo Cossato e successivamente nel 1978 nella collana I Grandi della Fantascienza 8 dell’Editrice Il Picchio, tradotto da Alda Carrer.